Arezzo, 14 settembre 2024 – La ricorrenza degli ottocento anni dall’imprimitura delle stimmate sul corpo di Francesco d’Assisi ha, se non altro, il merito di far riflettere su questa straordinaria figura di uomo.
È sul suo percorso di vita che, dal punto di vista laico, va ricercato il senso di un segno del cui significato religioso e teologico lasciamo ad altri la parola. Quasi per un riflesso condizionato, quando si pensa a Francesco viene in mente il ciclo giottesco degli affreschi che narrano visivamente gli eventi essenziali della sua vita.
Oltre agli affreschi, andiamo con la mente all’imponente complesso basilicale delle chiese sovrapposte e del convento assisano che s’affaccia sulla serena valle umbra con l’altrettanto maestosa basilica di Santa Maria degli Angeli. Queste costruzioni sono opera dei frati dell’Ordine dei Minori e di quanti, nei secoli, hanno esaltato un uomo del quale, paradossalmente, fingevano di ignorare il messaggio e interpretavano a modo loro la figura.
Il Francesco più autentico, quello delle stimmate, va ricercato in luoghi della più severa e arcana solitudine, là dove la natura è rimasta intatta fino ad oggi: a Monteluco di Spoleto, nello Speco di Narni, a Greccio, a Fonte Colombo, a Poggio Bustone, nelle Celle di Corton,. Sono tutti toponimi che indicano gli eremi sorti poco dopo la morte di Francesco, nei cui pressi o al cui interno si trovano le grotte, gli anfratti, le spaccature della roccia, gli spechi appunto, che costituivano gli autentici, provvisori rifugi di Francesco e dei suoi primi seguaci.
Il caso del Santuario della Verna è emblematico. Per una ventina d’anni dopo la morte di Francesco, la Verna con i suoi tuguri e le sue grotte non è altro che un oscuro romitorio, ma nel 1250 Innocenzo IV ne proclama la santità e tre anni dopo Rinaldo di Ienne, cardinale protettore dell’Ordine dei Minori, collega la santità del monte con l’evento delle stimmate.
Da quel momento in poi le verdi grotte, i miseri tuguri, le precarie celle diventano meta di pellegrinaggi.
Sorgono man mano la chiesetta di Santa Maria degli Angeli che accoglie il pellegrino che viene dalla Beccia e dal paese di Chiusi e quindi la Chiesa Maggiore e varie cappelle e solide strutture conventuali.
Già nel 1926 lo storico dell’arte Corrado Ricci annotava che tutto quello che, nei secoli, hanno edificato i frati non ha giovato al carattere genuino e alla bellezza del luogo, mentre pochi anni fa Guido Ceronetti parlava di un santuario “bello e nobilmente teatrale”. Proseguiva Ricci dicendo che all’ombra degli abeti e dei faggi, tra i frassini e gli agrifogli, è ancora possibile reperire i recessi profondi e selvaggi nei quali riandare con il pensiero alla vita di povertà e di meditazione che vi condusse Francesco.
Il significato e il senso dei romitori come luoghi idealmente collegati alle stimmate sono illustrati da una preziosa testimonianza sui primi francescani dei quali vengono descritti l’opera di carità e di apostolato fra la gente, alternata alla propensione eremitica.
Nel 1216, dopo un soggiorno a Perugia dove alloggiava allora la curia pontificia, il colto prelato Giacomo da Vitry parla per conoscenza diretta della vita condotta da Francesco e dai suoi confratelli. Dopo avere criticato l’alto clero impegolato in affari temporali e mondani, questi afferma di avere tratto motivo di consolazione da molti individui d’ambo i sessi i quali, lasciato ogni avere, seguono con fedele pertinacia le orme di Cristo.
“Costoro non si occupano affatto delle cose temporali”, scrive Giacomo da Vitry, “ma con desiderio pieno di fervore e con veemente impegno si adoperano ogni giorno per strappare alle vanità mondane le anime che stanno per naufragare e trarle a loro”. Lo colpisce in particolare il modo in cui vivono che illustra con sintesi impareggiabile: “Durante il giorno entrano nelle città e nei villaggi, impegnandosi attivamente per guadagnare altri al Signore: di notte ritornano nell’eremo o in luoghi solitari per attendere alla contemplazione. Non accettano donazione alcuna, ma vivono con il lavoro delle loro mani”.
Come si sa, la ferrea intransigente determinazione di Francesco nel ribadire la precarietà evangelica come norma di vita, con le privazioni e le sofferenze che questa scelta comporta per lui e i suoi stretti seguaci, finisce per creare notevoli contrasti con i tanti confratelli che hanno dato vita all’Ordine dei Minori.
Nelle parole con cui Francesco rinuncia alla guida dell’Ordine, espresse in occasione del capitolo generale del 1220: “D’ora in avanti sono morto per voi”, c’è tutta l’amarezza di chi sostiene, dinanzi al nuovo indirizzo espresso dai confratelli in favore di stabili strutture conventuali, l’intransigente volontà di vivere secondo il modello del Vangelo”.
In quelle parole c’è forse il senso stesso delle stimmate, di un evento che possiamo ammirare nella splendida tavola di Bartolomeo della Gatta allocata nel Museo di Castiglion Fiorentino, la più suggestiva illustrazione che gli sia stata dedicata.