
Il passaggio alle scadenze solari punta sulla natura, poi la svolta Lorena. Ma il richiamo alla data originaria resta più a lungo che nella Toscana.
Rupi
In origine, a Roma, come del resto in tutto il mondo antico, vige un calendario che non fa riferimento al sole, ma alla luna. Nel 46 avanti Cristo, Giulio Cesare decide di passare al calendario solare, che dà conto della diversità delle stagioni. E a tal fine, incarica Sosigene di Alessandria di stimare il tempo impiegato dal sole per ritrovarsi, dopo un anno, nella posizione iniziale. All’epoca gli Egiziani erano molto avanti nella conoscenza della geometria, a loro necessaria per ritrovare i confini dei terreni di proprietà dopo le frequenti esondazioni del Nilo. Sosigene gli indica questo tempo in 365 giorni, 5 ore e 37 minuti, sbagliando di soli 11 minuti. Poiché 365 è un numero divisibile solo per 5 e per 73, è giocoforza dividere l’anno solare in parti (mesi) diversificate di 30 e 31 giorni. Inoltre, ad evitare che, a causa di quelle 5 ore e 37 minuti, con il passare degli anni si determini uno sfasamento tra calendario e anno solare, Cesare dispone che ogni quattro anni l’anno abbia un giorno in più.
Nello stesso tempo, Cesare fissa l’inizio dell’anno con il primo marzo, sulla base della osservazione che la natura vegetale e animale sembra risvegliarsi in questo mese. È per questo che sette-mbre, otto-bre, nove-mbre e dice-mbre, settimo, ottavo, nono e decimo mese dell’anno romano si chiamano così. Inoltre, cominciando l’anno dal 1° marzo, l’ultimo mese risulta febbraio ed è su di esso che viene naturale applicare la variazione di un giorno: febbraio, all’epoca di 29 giorni, che diventano 30 ogni quattro anni. A Giulio Cesare è dedicato il quinto mese, luglio da Iulius, con 31 giorni. Ma quando Augusto sale al potere e gli viene dedicato il sesto mese, agosto, da Augustus, questo mese ha all’epoca 30 giorni; e Augusto non può contentarsi di un mese più corto di quello del suo predecessore (e prozio), per cui toglie un altro giorno a febbraio e lo attribuisce ad agosto.
Ecco perchè febbraio si ritrova con soli 28 giorni e 29 ogni quattro anni. Questa correzione di un giorno ogni quattro anni sarebbe ineccepibile se lo sfasamento fosse di sei ore tonde. Oggi sappiamo che un giro della Terra intorno al sole (anno solare) impiega 365 giorni 5 ore 48 minuti e 45 secondi.
Quindi con la compensazione di Cesare di un giorno (24 ore) ogni quattro anni, restano fuori 11 minuti e 15 secondi all’anno. Questa sfasatura porta, tra l’altro, ad uno scorrimento in avanti dell’equinozio di primavera e, di conseguenza, della Domenica di Pasqua, fissata dal Concilio di Nicea nella domenica successiva al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera. Nel XVI secolo, questo scorrimento è divenuto evidente e sarà un frate domenicano toscano, Egnazio Danti, a dargli rilievo scientifico: installando nella copertura della Chiesa di Santa Maria Novella di Firenze due fori gnonomici e nella facciata un quadrante astronomico e una armilla equinoziale tutt’oggi bene in vista, questo frate calcola la discordanza che, alla sua epoca, si è formata tra l’anno solare e il calendario di Giulio Cesare. Sicuro dei suoi calcoli, il frate si reca a Roma a presentare le sue conclusioni al Papa Gregorio XIII: "Santità, di questo passo celebreremo la Pasqua a Natale".
Il Papa, colpito dalla sicurezza del frate, nomina un collegio di uomini di scienza, tra i quali include il frate e, in base alle conclusioni di questo collegio, decide di azzerare la sfasatura passando direttamente dal giovedì 4 ottobre 1582 al venerdì 15 ottobre, senza però alterare la precedente successione dei giorni della settimana, perché il 15 sarebbe invece dovuto cadere di lunedì. Mantenendo inoltre la disposizione di Cesare, che l’anno abbia un giorno in più ogni quattro anni, Gregorio XIII stabilisce anche un sistema di correzioni che minimizzino lo sfasamento tra l’anno solare e il calendario: ogni cento anni, l’anno, pur essendo multiplo di 4, non sarebbe divenuto bisestile, salvo, però, ogni quattrocento anni, l’anno sarebbe rimasto bisestile. Cosicché, mentre il 1700, il 1800 e il 1900 non furono bisestili, invece il 2000 è restato un anno bisestile. Con questi accorgimenti, la discordanza tra l’anno solare e il nuovo calendario, detto da allora “Gregoriano”, non sarà avvertibile per molti millenni. Nello stesso tempo, Gregorio XIII fissa l’inizio dell’anno al 1° gennaio e, gradualmente, tutto il mondo si adegua, con l’eccezione della chiesa ortodossa, degli islamici e dei Cinesi il cui Capodanno è il 29 gennaio. Ma il mondo medievale aveva già spostato il Capodanno dal 1° marzo, stabilito da Cesare, al 25 marzo, data dell’Annunciazione, importante ricorrenza del mondo cristiano, nove mesi precedenti il Natale, e resterà a lungo legato a questa data. Si adeguerà solo nel novembre del 1749, quando il Granduca Francesco II di Lorena emetterà un decreto che fissa anche per il Granducato il 1° gennaio come capodanno.
Ma Arezzo, che ha sempre avuto una devozione per la Madonna, mantiene da molto tempo il richiamo a questa data ed anche ai giorni nostri nella Chiesa della SS.Annunziata il giorno del 25 marzo si richiama anche il significato religioso di inizio dell’anno. Restano due curiosità. Perché l’anno di 366 giorni è chiamato bisestile. Nella tradizione latina, il giorno che si aggiunge ogni quattro anni viene inserito tra il 24 ed il 25 febbraio; ma poiché il 24 è il sesto giorno prima delle calende di marzo, il giorno supplementare era “bis-sextus”. Da cui il termine bisestile per indicare l’anno di 366 giorni. Perché il giorno di 24 ore è diviso in due parti di dodici ore. Pensiamo a quando le ore erano indicate dai rintocchi delle campane e alla difficoltà di contare, senza sbagliare, 24 rintocchi.