REDAZIONE AREZZO

Il bobo? Ecco il sinonimo locale di Babau

Ma nel dialetto indica anche quei piccoli insetti che suscitano repulsione, una reminiscenza di quando la magia prevaleva sulla scienza

"’Unn andare laggiù, che c’è ‘l bobo", "Se ‘n fai ‘l bravo te piglia ‘l bobo"; frasi che i genitori d’una volta usavano come deterrenti per i figli più piccoli e che i genitori moderni e aggiornati in fatto di metodi pedagogici si guardano dal pronunciare (e poi lasciano che i propri figli di tutte le età vedano quotidianamente gli orrori trasmessi dalla televisione).

Ma chi è il Bobo? Ebbene il Bobo aretino non è altro che il Babau italiano, compagno dell’Orco e dell’Uomo Nero, una figura fantastica che rappresenta l’ignoto, il pericolo, il male per creature che del pericolo non hanno esperienza e del male non hanno coscienza. Un bisillabo elementare ed efficace che riecheggia bubù, il verso che si fa per spaventare, ma solo per gioco. Il Bobo è il prototipo di una famiglia numerosa che in terra aretina annovera un bestiario un po’ reale e un po’ immaginario comprendente la marmotta, il gatto mammome, la gattagnuda e altri ancora che sarebbe lungo citare e commentare.

Ma la voce bobo ha un altro aspetto non meno interessante: come nome comune indica qualsiasi insetto o in genere qualsiasi piccolo animaletto non meglio identificato. È una pura coincidenza o è lecito domandarsi che relazione c’è fra il bobo-spauracchio e il bobo-insetto? La relazione c’è e ci permette di aprire uno scenario inaspettato. Nella mentalità popolare, cioè nella visione prescientifica della natura, gli animali di dimensioni troppo piccole non sono concepiti come esseri individuali, dotati di organi e funzioni come quelle che garantiscono agli uomini e agli animali superiori una vita individuale autonoma, ma sono piuttosto concepiti come manifestazioni di energie vitali, di potenze ignote al di fuori del controllo umano e per questo sospette e potenzialmente nocive, come confermano le loro forme strane che suscitano una repulsione istintiva.

La loro esistenza ad di fuori del ciclo naturale degli esseri viventi ha alimentato la credenza nella generazione spontanea, negata e confutata per la prima volta con argomenti scientifici da Francesco Redi nel trattato Esperienze intorno alla generazione degli insetti (1668), che segna l’inizio della biologia moderna. Per le sue ricerche il Redi poté avvalersi della recente invenzione del microscopio, che svelò l’esistenza di esseri viventi molto più piccoli degli insetti. Fu così che i micròbii (“piccole vite”), divenuti poi microbi nell’uso corrente, entrarono a far parte del lessico quotidiano e nel dialetto vennero ribattezzati bobarini.

Ma a dispetto delle conquiste della microbiologia, la credenza della generazione spontanea ha resistito e resiste tuttora. Non solo, ma anche la figura del Redi, proprio grazie ai suoi esperimenti, è stata circondata da un alone di stregoneria ed è tuttora viva una leggenda che riguarda la sua sepoltura: si dice infatti che abbia portato con sé nella tomba il Libro del Comando, che contiene le formule che danno il potere sulle cose e sugli eventi. Così bobi e bobarini, con buona pace del Redi, continuano ad esistere nel loro mondo di mezzo, sospeso fra la materia e lo spirito: anche nel Duemila, di fronte all’incomprensibile, appare più comodo affidarsi alle risorse della magia che sforzarsi di comprendere gli indecifrabili teoremi della scienza.