LUCIA
Cronaca

"Il cappottino rosso di Natale tinto di nero". Le uccidono il padre a poche ore dal regalo

L’impronta della mafia sulla vita di Antonina, la scelta di seguirne la missione da sindacalista nel racconto consegnato a Pieve

L’impronta della mafia sulla vita di Antonina, la scelta di seguirne la missione da sindacalista nel racconto consegnato a Pieve

L’impronta della mafia sulla vita di Antonina, la scelta di seguirne la missione da sindacalista nel racconto consegnato a Pieve

BigozziAranci, aranci, "cu li fa’ li guai si li chianci". Chi combina guapirito libero, sindacalista, mui, li pianga solo. Ssicista della banda, Nicolò Azoti è privo della "robba" che ne farebbe un buon partito. Sposa la donna che ama solo grazie a una "fuitina" e quando muore, ammazzato dalla mafia a pochi metri da casa, a chi circonda la vedova e i bambini non par vero di poter scuotere la testa.

Antonina ha quattro anni quando sua mamma le stende sul letto il padre agonizzante; pochi giorni dopo, il cappottino rosso che aspettava per Natale verrà tinto di nero. Nicolò è morto battendosi per la riforma agraria, ma sulla vedova e i due bambini cala il sudario di isolamento e vergogna destinato ai parenti di un "morto ammazzato". Dita puntate, malelingue. Il parroco asperge la bara per strada con l’acqua santa, ma si rifiuta di portarla in chiesa. "Anche Dio - scrive Antonina - lo considerava quindi colpevole?".

Ad alta voce è la storia del lento e orgoglioso percorso di riscatto di Antonina, Pinuccio e della loro madre. Una storia di coraggio che Antonina ha ripercorso e affidato all’Archivio della Memoria, i Diari di Pieve. Cassaforte di vite ed esperienze, ascese e cadute: oltre diecimila testimonianze che attraversano il tempo per non morire mai. Antonina scrive tutto ciò che ha vissuto: dai tempi della miseria al lavoro da maestra. E al giorno in cui, davanti a tutta Palermo radunata per onorare la morte del giudice Falcone, Antonina sale su un palco e racconta ad alta voce l’orgoglio di essere figlia di Nicolò Azoti, caduto per promuovere i diritti dei braccianti, dimenticato insieme ad altri 39 sindacalisti uccisi nell’immediato dopoguerra.

La memoria di Antonina Azoti restituisce con immediatezza ed emozione una pagina intensa di una vita individuale e, nello stesso tempo, di storia civile del nostro paese. "Ero particolarmente felice quella sera. Avevo appena scoperto il dono che la Vecchia Natala, la Befana, mi avrebbe portato per il Natale ormai imminente. E avevo capito pure che a donarmelo sarebbero stati, in realtà, i miei genitori. Doveva essere una sorpresa, ma io avevo già intuito qualcosa e, sentendo mamma e papà parlare di un cappotto rosso, ne avevo avuto la conferma.

Finsi di non capire e di non sapere e custodii quel segreto, tenendolo tutto per me, senza condividerlo neppure con mio fratello. Ma solo per poco. Quando mamma ci mise a letto e ci diede il bacio della buona notte, aspettai che lei uscisse dalla stanza e confidai a Pinuccio quello che avevo scoperto: “Per me il cappottino rosso - gli dissi - per te il caschetto blu“. E per dimostrargli che stavo dicendo la verità, lo tirai per la mano invitandolo a spiare dalla fessura della porta socchiusa. Mamma era di spalle, sotto la lampada, e faceva volteggiare fra le mani il mio cappottino rosso. Cucendo, aspettava il rientro di papà che, come tutte le sere, si era recato alla camera del lavoro. Pinuccio insaccò la testa nelle spalle e sorrise, portandosi l’indice sulle labbra: “Ssst…sst“. Tornammo a letto con una gioia in più nel cuore. Ci addormentammo. Io ero nel lettone e lui nel lettino che papà gli aveva costruito quando era nato.

Dormivo e già sognavo quando spari improvvisi mi fecero trasalire: mi ritrovai seduta in mezzo al letto nella stanza buia e, prima ancora che potessi invocare la mamma, le sue grida strazianti mi ferirono le orecchie. Lei aveva riconosciuto nei lamenti provenienti dalla strada la voce di papà e gli chiedeva: “Cola, Cola, chi ti ficiru?”. “Mimì mi spararu”. Ero impietrita e confusa. Come era strana quella voce: a me non pareva quella del mio papà, non poteva essere la sua voce. Mi alzai e mi accostai allo spiraglio che qualche ora prima mi era stato complice nella scoperta più importante dei miei quattro anni di vita. Vidi la mamma tendere le braccia, protesa dal balconcino a petto quasi a voler raggiungere a volo papà, mentre continuava a gridare con la voce strozzata. Era la notte del 21 dicembre del 1946, e fu notte per sempre. Rividi la mamma due giorni dopo, al suo ritorno dall’ospedale civico di Palermo dove aveva assistito papà, grave, ma comunque lucido e cosciente. Insieme avevano parlato, imprecato, maledetto e sperato.

L’agonia di papà cessò la mattina del 23 dicembre 1946. Tornarono insieme a casa, ma lui era dentro una cassa chiusa per sempre. E attorno molta gente. Nulla rimase come prima nella nostra vita, tutto cambio, persino il mio nome. Nicolina mi chiamai, come papà, non più Ninuccia. Ancora bambina cominciai a pensare non più da bambina, perché con me non c’era lui. La notte del 21 dicembre ci avvolse nelle su tenebre spazzando via dalla nostra vita persino i colori: neri erano i nostri vestiti, nere le nostre scarpe e le calze, nero il fiocco che raccoglieva i miei capelli biondi. Cambiò colore pure il cappottino rosso che la Vecchia Natala non fece in tempo a nascondere in qualche cantuccio della stanza perché io lo potessi scoprire dopo una ricerca gioiosa. La mamma lo tinse di nero prima di farmelo indossare. Quegli spari, che ci avevano strappato papà per sempre, erano stati anche un attentato alla nostra sopravvivenza e al nostro futuro. Per noi divennero un delitto quotidiano, ripetuto, continuato. Papà non c’era più. E non perchè malato, vecchio o sofferente. No. Altri uomini avevano deciso la sua fine rubandolo alla vita e a noi."