Salvatore
Mannino
Le strade, le piazze, gli spazi urbani di questa città hanno una tale stratificazione di storia che spesso non ci rendiamo conto di quanta ne sia passata sotto i nostri passi. Prendiamo la parte alta del centro storico, tra l’ultimo tratto del Corso Italia e via dei Pileati, la zona di Campo di Marte, Poggio del Sole, quello che è attualmente l’Itis e che è ancora noto come Ex Gil: cosa è che li accomuna? Di essere stati tutti brani di un solo disegno urbanistico: la città fascista. Il fascismo di pietra, come potremmo definirlo col titolo di un famoso libro dello storico Emilio Gentile, quello che ci racconta il Ventennio aretino più e meglio di documenti scritti che sarebbero ripetitivi di situazioni analoghe meglio percepibili a livello nazionale.
L’Arezzo del Regime, dunque, avrebbe dovuto essere divisa, nel piano regolatore affidato a Luigi Piccinato nel 1929, e fu di fatto divisa fra la città antica, quella cui era affidato il compito di tramandare e far rivivere in chiave di potenza l’epoca più glioriosa del passato cittadino, il medioevo e in particolare il Trecento del Libero Comune, della Signoria dei Tarlati e del Petrarca, e la città nuova, che avrebbe dovuto invece esemplificare la nuova vitalità portata dal fascismo. Da un lato l’acropoli fascista, il sacrario del nuovo potere, il luogo di commemorazione dei "martiri della rivoluzione", dall’altro Poggio del Sole con la nuova prefettura, Pescaiola e Campo di Marte con gli impianti sportivi, la spianata fra le odierne via Piero della Francesca e via Baldaccio d’Anghiari, dove in piccola parte sorse ma in parte maggiore fu solo pianificata la "cittadella del partito". Seguendo una gerarchia precisa, conforme agli indirizzi che venivano dall’alto: sul colle, sopraelevato, il potere statale, sotto quello del partito unico, che pure sempre più si avviava ad essere il motore della macchina totalitaria pervasiva, dinamica e populista.
L’Acropoli fascista di cui si è detto sopra si inserisce perfettamente nel restauro stilistico avviato fin dagli anni ’20 sotto l’egida di una cerchia di intellettuali ed architetti che fa capo a Pier Ludovico Occhini, non solo sindaco prefascista, non solo ideologo del Nazionalismo politico, non solo presidente della Brigata degli Amici dei Monumenti, ma anche podestà dal 1930 al 1939, il decennio delle maggiori trasformazioni. Accanto alla piazza Grande rimodellata e turrita, come non è mai stata realmente, al Palazzo dei Priori restaurato in chiave neoghibellina, si innesta la Casa del Fascio, che caso relativamente raro, non viene realizzata ex novo, ma collocata nel vecchio Palazzo Albergotti, ora sede dell’archivio di stato, e dedicata ad Arnaldo Mussolini, "martire" fascista fra i "martiri". Perchè nel Palazzo verrà costruito il sacrario dei caduti fascisti intitolato ai tre morti squadristi dei Fatti di Renzino del 1921, mito fondante del fascismo locale. Per Aldo Roselli in particolare, l’unico aretino, viene costruita un’Arca in stile neomediovale che ne ospita le spoglie, collocata davanti a Palazzo Pretorio, poco sopra la Casa del Fascio, la cui Torre Littoria non è realizzata ex novo come un po’ ovunque in giro per l’Italia, ma rialzando la vecchia "Bigazza", altro edificio medioevale.
Se questa è la città antica, metafora di un fascismo conservatore, fortemente influenzato dal Nazionalismo, sempre a partire dagli anni ’90 sorge in quella che è ancora campagna la città nuova, espressione di un Regime più dinamico. Il più imponente dei progetti realizzati è quello della prefettura di Poggio del Sole, affidato al grande Giovanni Michelucci e completato nel 1940 con il trasferimento della vecchia sede nel Palazzo della Provincia: un edificio semicurvo concavo, con colonnato e piazza a più livelli per le adunate cui il Regime chiama il suo popolo. Peraltro mai utilizzata veramente.
Resta solo un’intenzione, invece, la zona sportiva pensata in area Pescaiola, sul modello (ridotto) del Foro Mussolini: uno stadio da 10 mila posti, con torre di maratona da 35 metri, piscine, campo da tennis, piste per l’atletica. Progetto faraonico del Gruppo Architetti Toscano dello stesso Michelucci, abbandonato per questione di costi, che si risolve nella ristrutturazione del vecchio stadio di Campo di Marte, una sola tribuna, dedicato all’eroe della Grande Guerra Giuseppe Mancini. Sarà demolito nei primi anni ’60 per costruire lo stadio di ora e riconvertito nel Palazzo Standa.
In via Baldaccio, invece, si fa in tempo a mettere la mano al primo edificio, la Gil, ossia le organizzazioni giovanili. Il resto della cittadella, con la nuova sede del Pnf, viene bloccato dalla nuova guerra. Poi diventerà scuola: l’Iits appunto. Sorgono anche le case, popolari e non, per le masse cui il Regime si rivolge, in particolare i ceti medi, nerbo del consenso: il Casone di via Crispi, 54 appartamenti sul modello dei grandi caseggiati romani, con tutte le comodità, le case degli impiegati di Poggio del Sole. E il culto della romanità, tanto caro al Ventennio? E’ affidato al recupero dell’Anfiteatro di via Crispi, ma tutto sommato resta secondario. Un’altra particolarità del fascismo aretino.