CLAUDIO
Cronaca

Il genio cortonese a Parigi. Severini arrivò con cento lire poi Picasso gli cambiò la vita

L’artista rimase sempre visceralmente legato alla sua terra ma l’incontro nella Ville Lumière con il pittore spagnolo definì la sua poetica fra tradizione e apertura all’innovazione.

L’artista rimase sempre visceralmente legato alla sua terra ma l’incontro nella Ville Lumière con il pittore spagnolo definì la sua poetica fra tradizione e apertura all’innovazione.

L’artista rimase sempre visceralmente legato alla sua terra ma l’incontro nella Ville Lumière con il pittore spagnolo definì la sua poetica fra tradizione e apertura all’innovazione.

Santori

Arezzo e la sua terra basterebbero per la gloria d’Italia in tutti i campi. In particolare nella storia dell’arte: dopo l’exploit del Secolo d’Oro (Vasari, Michelangelo, Signorelli, Piero della Francesca e Masaccio), ogni secolo successivo ha avuto il proprio talento e non è stato da meno il Novecento che ha prodotto l’ultimo genio: Gino Severini, nato a Cortona il 7 aprile 1883 e morto a Parigi il 26 febbraio 1966. Poco più che ventenne lasciò Roma (dove fu iniziato al divisionismo da Giacomo Balla) e si trasferì a Parigi. Così descrive ne "La vita di un pittore" il suo arrivo nella capitale francese: "Con l’esigua somma di 100 lire e qualche altra somma che mi diedero i miei genitori, me ne andai a Parigi, dove arrivai una domenica mattina d’ottobre, grigia e piovosa, nel 1906". La vita all’inizio non fu facile dal momento che aggiunge: "Fra gli artisti italiani della nostra generazione soltanto Modigliani ed io abbiamo conosciuto Parigi perché siamo quelli che vi abbiamo sofferto di più".

Ma la Ville Lumière era la capitale dell’arte e Severini vi strinse amicizia non solo con Modigliani, ma anche con Picasso, Apollinaire, Braque, Gleizes, Metzinger, Lèger, Gris, Brancusi e Duchamps. Nel 1910 Severini fu introdotto da Marinetti al caffè della Closerie des Lilas, dove conobbe Paul Fort, il principe dei poeti di Montparnasse, e sua figlia Jeanne, che poi qualche anno dopo divenne sua moglie.

Decisivo sotto ogni punto di vista, fu l’incontro con Picasso dal quale apprese la poetica destinata ad accompagnarlo per tutta la vita: l’apertura all’innovazione senza mai perdere il contatto con la tradizione al di là delle mode. Dopo aver dato un sostanziale contributo al divisionismo (Primavera a Montmartre), fu firmatario nel 1909 del "Manifesto del Futurismo" di Filippo Tommaso Marinetti e partecipò alla nascita e allo sviluppo del cubismo con un contributo originale che è rimasto noto come "cubismo psichico" o "cubofuturismo".

Severini ha mantenuto con Cortona un legame viscerale per tutta la vita: "Le città a cui mi sento più profondamente affezionato sono Cortona e Parigi: nella prima sono nato fisicamente, nella seconda intellettualmente e spiritualmente". A Cortona ha donato, per disposizione testamentaria, alcuni dipinti e la figlia Romana ne ha proseguito la volontà: "Nelle nuove sale del Maec - ha detto - troverà posto il racconto della vita di mio padre: schizzi, bozzetti, disegni, documenti, appunti, cataloghi, i costumi della Commedia dell’Arte da lui progettati e cuciti da mia madre, gli oggetti presenti nelle sue nature morte e la ricostruzione del suo studio pittorico".

Non è questa la sede per ripercorrere l’evoluzione dell’arte di Severini fra il primo e il secondo dopoguerra, con il passaggio dell’artista dall’estetica futurista ad una sorta di neoclassicismo metafisico: preme invece sottolineare la crisi mistico-religiosa che lo condusse a dedicarsi per un decennio, dal 1924 al 1934, quasi esclusivamente all’arte sacra con grandi affreschi e mosaici (in particolare per le chiese svizzere di Semsales e La Roche) e che gli ha ispirato quello che si può considerare senz’altro il suo capolavoro: la "Via Crucis" di Cortona.

L’imponente lavoro che partendo dalla Porta Berarda, dalla quale Santa Margherita entrò in Cortona, sale con le sue 14 stazioni fino alla Basilica, fu annunciato dal vescovo Franciolini la sera del 22 febbraio 1944, al chiudersi della festa dedicata alla Santa: "Se Margherita - proclamò - preserverà Cortona da distruzioni e non permetterà che il territorio cortonese divenga teatro di guerra, costruiremo in suo onore una bella Via Crucis". Mantenne la parola, individuò la tecnica del mosaico come la più adatta: armonia con l’ambiente, bellezza, durata ed affidò il lavoro a Severini sostenendone interamente la spesa. Così Cortona si arricchì di una nuova pregiata forma artistica di primissimo ordine.

Nel 2018, in occasione della pubblicazione del libro "Gino Severini: La Via Crucis di Cortona" di Pierangelo Mazzeschi, tutti i vetri furono smontati e ripuliti come non si faceva da molti anni, e ne risultò un bel servizio fotografico dei mosaici, unico nel suo genere. Ma oggi, dopo soli sette anni, i vetri son tornati ad essere sporchi e opachi, impedendo una vista chiara dell’opera, senza contare che diverse tessere dei mosaici sono scomparse.

"Prima di tutto va osservato - sostiene il professor Mazzeschi - che il vetro non è il miglior materiale per proteggere il mosaico, perché a contatto con i diversi tagli di luce crea infiniti riflessi e distorsioni, impedendo una chiara visione. Oggi esistono resine speciali che fanno da pellicole protettive: non c’è dubbio che sia necessario intervenire prima che sia troppo tardi. È un’opera di fama mondiale e faccio un appello a chi di dovere: istituzioni locali, ma anche imprenditori della zona, amanti di Cortona, della sua storia, bellezza e arte; credo ce ne siano a Cortona, ne ho conosciuti in questi anni di lavoro su Severini e la Via Crucis".