ATTILIO BRILLI
Cronaca

Il legame tra Arezzo e Stati Uniti oltre i dazi. Dal mistero di Piero ai brindisi di Hawthorne

La terra amata dagli americani e i nuovi ostacoli protezionistici: la morte del re della prospettiva nel giorno della scoperta di Colombo

La terra amata dagli americani e i nuovi ostacoli protezionistici: la morte del re della prospettiva nel giorno della scoperta di Colombo

La terra amata dagli americani e i nuovi ostacoli protezionistici: la morte del re della prospettiva nel giorno della scoperta di Colombo

Brilli

Siamo tutti rimasti sgradevolmente colpiti dai pesanti dazi imposti, poi al momento sospesi, sui prodotti esportati negli Stati Uniti, merci che, per quanto riguarda la provincia di Arezzo, sono raffinate e di alto pregio, sia che si parli dell’oreficeria e dell’argenteria, sia di vini e di altri prodotti di analoghi comparti. Quello della presidenza americana è un gesto che potremmo paragonare a un’arbitraria gabella imposta alla creatività storica di una comunità. Siamo inoltre rimasti profondamente offesi, come europei, dall’accusa di parassitismo che ci è stata rivolta dalle alte cariche dello Stato americano.

Per due secoli le più fulgide intelligenze statunitensi si sono sentite in dovere di ringraziare l’Italia per la genialità artistica e scientifica che ha trasmesso e ha esportato oltre Atlantico.

Per fare un solo, simbolico esempio, artisti nordamericani e latino americani rendono tutt’oggi omaggio alla Madonna del Parto di Piero della Francesca come a colei che annuncia la scoperta del Nuovo Mondo.

Ce lo rammenta la poetessa Judith Baumel quando dice che sotto la prorompente tensione dell’abito azzurro di Maria, uno spicchio di bianca sottoveste copre "il ventre basso e rotondo come il globo terrestre". E ricorda che Piero ha lasciato questo mondo il 12 ottobre 1492, nel preciso istante in cui Colombo rimaneva ingannato dalla rotondità della terra.

Sono numerosi i visitatori americani che hanno tributato la loro riconoscenza ad Arezzo, alla sua terra e alla sua arte. Il romanziere Henry James scriveva che durante la sosta in città non avrebbe voluto toccare nulla per non scompaginare la polvere dei secoli, mentre uno dei padri della narrativa americana, Nathaniel Hawthorne, si sentiva in dovere di brindare ai grandi personaggi del luogo con una bottiglia di Chianti non ancora gravata da dazi.

Tuttavia la stessa letteratura nata dal viaggio in Italia ci ricorda che c’è un altro genere di americani i quali hanno mostrato da sempre un atteggiamento ben diverso nei confronti del nostro paese. Nel maggio del 1867 Mark Twain scriveva nell’Autobiografia: "Quando andai a St. Louis per salutare mia madre, fui colpito dal programma del capitano Duncan e della crociera del Quaker City, alla quale finii per aggregarmi. Durante il viaggio spedii cinquanta lettere da vari paesi del Mediterraneo per tenere fede al contratto con il giornale".

Dalla rielaborazione delle lettere nasce il volume, Gli innocenti all’estero. Viaggio in Italia dei nuovi pellegrini, 1869, volume che può essere considerato il più irriverente ritratto dell’Italia che sia stato scritto.

Il suo non è lo sguardo del viaggiatore che contempla ammirato lo spettacolo delle rovine con il loro carico di storia, o quello dei grandi cicli pittorici, bensì quello del rude pioniere, del discendente dei Padri Pellegrini che ha come obiettivo la brutale appropriazione di un continente. Il dolce far niente che, ai suoi occhi, caratterizza il Vecchio Mondo è la prova inconfutabile di quella decadenza e di quella inerzia dalla quale fuggirono i suoi progenitori.

Mentre l’americano della costa atlantica, da Hawthorne a James, fa dell’Italia la palestra dove educare il gusto e raffinare la sensibilità estetica, l’americano del Sud e del West dell’immenso paese reagisce con disprezzo alla lezione della "vecchia arte", degli "antichi maestri".

Perché andare in estasi davanti al Cenacolo di Leonardo, si chiede Mark Twain, quando l’ultimo dei copisti può fornirne una versione nuova di zecca? Tutti hanno in mente l’immagine del Colosseo, commenta Twain davanti al re delle rovine, tutti riconoscono "quella cappelliera piena di buchi e di finestre, rotta da una parte come se avesse avuto un morso". E a Firenze annota: "Fra una visita e l’altra ci piaceva fermarci sui ponti ad ammirare l’Arno. È un fiumiciattolo intriso di storia, profondo si e no quattro piedi. Potrebbe dirsi fiume se ci pompassero dentro l’acqua. I fiorentini lo definiscono tale e sostengono l’illusione costruendoci sopra ponti monumentali".

Nella sua relazione di viaggio, lo yankee Mark Twain guarda con fastidio alla civiltà europea, e a quella italiana in particolare, che giudica polverosa, immobile e asfittica. Nei suoi orecchi risuona l’incitamento di Horace Greely, il giornalista portavoce dello spirito della frontiera: "Vai verso il West, ragazzo, là dove ci sono nuove terre da conquistare!". L’attuale presidente degli Stati Uniti è un lontano erede dello spirito della frontiera, uno spirito che lo proietta, ora che non ci sono più terre da conquistare, verso un’illusoria età dell’oro realizzata a spese degli altri popoli.

Dovremmo allora ricordargli le parole pronunciate dal primo ministro britannico Benjamin Disraeli nel 1835, di ritorno dall’Italia: "Queste sponde del Mediterraneo ci hanno dato la nostra religione, le nostre arti, la nostra letteratura e le nostre leggi. Se tutto quello che abbiamo preso da queste sponde venisse cancellato dalla memoria dell’uomo, saremmo dei selvaggi".

E poiché non è possibile imporre dazi sulla memoria storica, oltre Atlantico si pensa di poterne fare a meno.