CLAUDIO SANTORI
Cronaca

Il Petrarca dimenticato nell’anno del Vasari. Incontrò Dante in città quando era in fasce

Nessuna celebrazione per i 650 anni dalla morte del poeta: la sua nascita in esilio e i solidi legami della sua famiglia con Arezzo

Il Petrarca dimenticato nell’anno del Vasari. Incontrò Dante in città quando era in fasce

Sopraffatto dall’aretino Vasari, il non meno aretino Petrarca corre il rischio di essere dimenticato: eppure questo anno di grazia 2024 segna i 650 anni anche dalla sua morte, avvenuta ad Arquà il 19 luglio 1374. Aretino dunque il Petrarca, e anche verace, contrariamente a quanto ancora si va dicendo e scrivendo sulla circostanza che sarebbe nato ad Arezzo per caso, a seguito dell’esilio comminato al padre Petracco dal governo fiorentino. La famiglia era ben radicata in città, tanto è vero che nella casa di via dell’Orto aveva sede come notaio il nonno di Francesco, Parenzo, che aveva ereditato dal padre, Garzo, non solo l’esercizio della professione, ma anche la funzione di segretario (allora si diceva “scriba”) del vescovo Guglielmino, funzione che esercitava con l’aiuto del figlio Petracco (entrambi lasciarono Arezzo per Firenze all’indomani di Campaldino). La vena poetica di Francesco potrebbe essere una caratteristica di famiglia se si pensa che il bisnonno potrebbe essere il Garzo autore di nove laude del “Laudario Cortonese”, di una “Raccolta di proverbi” in distici a rima baciata e di una “Storia di Santa Caterina” in decima rima.

Il Petrarca ne era convinto e fa in parecchi passi delle lettere commossi elogi del bisnonno (più come uomo, a dir vero, che come letterato): l’identificazione è data come molto probabile dal Contini, respinta da Varanini e Banfi (curatori dell’edizione del manoscritto cortonese), ma recentemente riproposta dal Mancini. Il fortunoso approdo di ser Petracco ad Arezzo, dopo la sentenza del Podestà Cante dei Gabrielli da Gubbio, datata 10 marzo 1302 (sentenza che prevedeva anche il taglio della mano destra) con il padre Parenzo e la moglie Eletta Can(i)giani, già probabilmente incinta di Francesco, non è, dunque un esilio, ma piuttosto un ritorno. E c’è di più. Il Petrarca racconta che con Parenzo e Petracco c’era anche l’amico e compagno di fede politica Dante Alighieri, “più giovane - scrive in Familiares XXI, 15 - del primo e più vecchio del secondo col quale nel medesimo giorno e da una stessa tempesta civile fu cacciato dalla patria” (ricorda male perché sappiamo che Dante li raggiunse sì, ma molto più tardi).

Finora si credeva che il primo ed unico incontro fra questi due giganti della nostra letteratura fosse avvenuto intorno al 1211, secondo alcuni a Pisa, secondo altri a Genova, sulla base della testimonianza dello stesso Francesco che in una lettera al Boccaccio, rispondendo alla domanda dell’amico se fosse vero che provava invidia nei confronti di Dante, risponde: “Io mai non ebbi ragione alcuna d’odiare cotal uomo, che solo una volta negli anni della mia fanciullezza mi venne veduto”.

Fermo restando questo incontro della “fanciullezza”, ora possiamo ragionevolmente immaginare che Dante abbia avuto contatto continuo con l’infante Francesco nella casa di Via dell’Orto dove dovette necessariamente trovare rifugio quando, a Gargonza dove risiedeva, fu raggiunto dalla prima condanna il 27 gennaio 1304 e dalla seconda il successivo 10 marzo. Lasciò Gargonza, dove fu uno dei 12 consiglieri incaricati di gestire il tentativo dei fuorusciti bianchi di rientrare in Firenze, nel giugno di quell’anno, ma si dissociò dalla decisione di tentare la via delle armi e non partecipò alla battaglia che ebbe luogo alla Lastra il 20 luglio 1304, aggiungendo alla condanna dei ghibellini fiorentini anche quella dei suoi stessi ex compagni. La battaglia fu una completa disfatta della “compagnia malvagia e scempia”, come Dante aveva previsto.

Quello stesso 20 luglio, mentre alla Lastra si combatteva, ad Arezzo in Via dell’Orto nasceva Francesco e Dante arrivava fuggiasco poche settimane, se non pochi giorni dopo il lieto evento! Possiamo dunque formulare l’ipotesi spericolata, ma suggestiva e verosimile, di un Dante che, tenendo in braccio il piccolo Francesco, torna a casa risalendo dalla piazza grande (allora grandissima perché non dimezzata dal loggiato vasariano) con l’amico quasi coetaneo Petracco. Ultima curiosità, anche questa suggestiva, ma assai più realistica. Raggiungevano la casa di Via dell’Orto, ma non dall’ingresso odierno, bensì da un ingresso laterale, situato in una stradina che congiungeva via Albergotti con Via dell’Orto. Francesco rivela infatti all’amico Giovanni d’Arezzo (Senili, XIII, 3) di aver visto la sua casa situata in un “vicus intimus”, una viuzza al riparo da sguardi indiscreti.

È fin troppo evidente che questa “viuzza” non può essere via dell’Orto che era anche allora ampia e lunga ed era abitata da gente d’alto bordo, come il notaio Ciuccio. Credo di poter indicare con alto grado di probabilità il “vicus intimus” nella bretella che univa via degli Albergotti a via dell’Orto a fianco del Palazzo Pretorio, oggi incorporata nelle strutture adiacenti: proprio allo sbocco di via Albergotti c’è attualmente la sede della Brigata degli Amici dei Monumenti nel cui muro sinistro, entrando, si trova una nicchia con un Cristo Eucaristico portacroce tardo trecentesco che non è pensabile in un’abitazione privata.

Lo storico dell’arte Michele Tocchi ne ha sottolineato l’espressione di un’interessante e piuttosto rara iconografia di origine nordeuropea nota come “effusio sanguinis”.