
di Alberto Pierini
Non solo Boschi, non solo le lacrime di gioia della figlia Maria Elena. L’assoluzione sull’ultimo filone Etruria trattato dal tribunale aretino ha attraversato tante case. Incrociando tra un tinello e un salotto volti noti delle professioni e della classe dirigente. Tutti chiamati in causa sulle cosiddette "consulenze d’oro": e quindi assolti, proprio come babbo Boschi.
Ne ricordiamo i nomi in ordine sparso? Luciano Nataloni, Claudia Bugno, Luigi Nannipieri, Daniele Cabiati, Carlo Catanossi, Emanuele Cuccaro, Alessandro Benocci, Claudia Bonollo, Anna Nocentini Lapini, Giovanni Grazzini, Alessandro Liberatori, Ilaria Tosti, Claudio Salini. A loro arriva perfino la carezza del Vescovo, che ne parla durante la cerimonia a Casa Bruschi. "Mi sono rallegrato – dice Riccardo Fontana – del fatto che sia stata ridata onorabilità a chi, alla luce della sentenza, l’aveva persa ingiustamente".
"E’ la fine di un incubo o almeno di un percorso molto pesante" commenta Giovanni Grazzini, fresco consigliere di Estra. "Per un professionista l’aspetto della moralità è determinante ai fini degli incarichi". E’ uno dei nodi che in tanti ricordano: chi riceve consegne legate al rapporto di fiducia è penalizzato dal dubbio quasi più che dalla verità. "Ogni ombra negativa che crea sospetti si traduce in un danno pesante".
Ancora più netto Alessandro Benocci. "Parlerei di danni irreparabili. Personalmente mi muovo su tre fronti: professore universitario, avvocato in ambito societario e consigliere di amministrazione. Sono vasi comunicanti, subisci i contraccolpi di un sospetto dal quale fai fatica a difenderti". Anche se, precisa, la sua linea è sempre stata una sola. "Ho scelto di difendermi nel processo e non dal processo: un’apertura di credito alla giustizia anche se poi non sempre la assaggi fino in fondo".
Beh, l’assoluzione è arrivata... "E’ un grande sollievo, ti senti le spalle più leggere: ma dalle accuse ingiuste, perché di questo si è trattato, non ti rialzi mai ricevendo quello che hai perso".
Alla giustizia crede per mestiere anche l’avvocato Alessandro Liberatori. "Dopo sette anni trovo che questa sentenza sia stata un giusto riconoscimento. Non abbiamo compromesso gli interessi della banca, abbiamo cercato solo di salvarla".
Danni? "Beh, per mestiere sono a contatto fisso con i magistrati: ritrovarmi giudicato di sicuro non aiuta". E non disdegna di alzare la testa dalla propria situazione personale. "Sono convinto che la banca popolare sarebbe stata salvata se solo la politica avesse voluto". Una linea che Grazzini porta più a fondo. "Ci siamo ritrovati involontariamente a fare da cavia: la nostra vicenda ha portato ad un cambio di rotta sulle crisi bancarie". Il nodo quello delle mancate risorse. "Sembrava che ogni euro speso per salvare la banca si profilasse come aiuto di Stato: poi hanno scoperto che non era così". No n ce l’ha con nessuno. "E’ come ritrovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato: con chi te la prendi?". E vede conseguenze oltre Arezzo. "Ne è nata una sfiducia verso il mondo bancario le cui cicatrici sono evidenti". Un po’ come il sollievo con il quale ne parla: senza lacrime di gioia ma un sorriso sì.