Santori
Questo anno dedicato a Giorgio Vasari continua a offrire spunti per l’analisi di un aspetto particolare delle Vite che "avrebbero perduto da un pezzo - nota il Ragghianti - l’apprezzamento di tutti quei lettori che non fossero specialisti di storia dell’arte e cultori di storiografia, in cambio di rimanere ancor oggi così gustate e popolari, se ad esse fosse mancato l’alto pregio che le distingue".
Ebbene, buona parte del fascino che le Vite hanno esercitato per secoli, e continuano ad esercitare ancor oggi, così sugli studiosi come sui non specialisti, va ascritto alla lingua con la quale Vasari arriva diretto al lettore, come se gli parlasse.
È precisamente questo "l’alto pregio" di cui parla il Ragghianti. Lo dichiarano simpaticamente Michelangelo quando definisce il Vasari "resuscitator d’uomini morti" e perentoriamente Annibal Caro quando nota che il valore letterario delle Vite consiste "nell’aspetto dilettevole della storia la quale ha la virtù di una scrittura come il parlare". Uno dei punti di forza di questo scrivere "come il parlare" è la tendenza continua a inserire qua e là dei camei che sono vere e proprie novelle capaci di vivere una vita autonoma, per cui di fatto il Vasari viene ad appartenere anche alla schiera dei novellieri nel più puro stile toscano. Nella vita del pittore Buonamico, detto Buffalmacco, il Vasari gareggia con Franco Sacchetti nel raccontare la novella degli scarafaggi e quella della moglie di Capodoca, espressamente citando l’autore delle "Trecento novelle".
"Andrea Tafi - racconta il Vasari tradotto in italiano corrente - aveva l’abitudine di levarsi innanzi giorno a lavorare costringendo alla veglia i garzoni, uno dei quali era appunto Buffalmacco che non sopportava di dover saltare giù dal letto in orario antelucano e cercava un modo per porre fine alla cosa. Un giorno, avendo trovato in un angolo male spazzato trenta grandi scarafaggi, fissò loro sul dorso una candelina e l’accese; poi per una fessura dell’uscio li fece entrare tutti ad uno a uno nella camera di Andrea, il quale svegliatosi, essendo appunto l’ora in cui soleva chiamare Buffalmacco, e veduti quei lumicini, tutto pieno di paura cominciò a tremare e, tutto pauroso da vecchio qual era, prese a raccomandarsi sottovoce a Dio e a recitare salmi e preghiere; e alla fine, messo il capo sotto le coperte, non chiamò per quella notte Buffalmacco, ma si stette a quel modo sempre tremando di paura insino a giorno.
La mattina poi, levatosi, domandò a Buffalmacco se aveva visto anche lui più di mille diavoli; Buffalmacco gli rispose di no, perché aveva dormito della grossa e si meravigliava di non essere stato svegliato. "Ma che svegliare - disse il Tafi - io ho avuto altro pensiero che dipingere, e voglio andare a stare in un’altra casa".
La notte seguente Buonamico mise tre soli scarafaggi nella camera del Tafi il quale tuttavia, tra la paura della notte passata, e quei pochi diavoli che vide, non dormì per niente: anzi appena fu fatto giorno uscì di casa per non tornarvi più. Buffalmacco chiamò a consolare il maestro il prete della parrocchia e, discorrendo sopra il caso, gli disse: "Io ho sempre sentito dire che i maggiori nemici di Dio sono i diavoli i quali per conseguenza debbono anche essere massimi nemici di noi pittori perché, oltre a farli sempre bruttissimi, quello che è peggio, non attendiamo mai ad altro che a far santi e sante in tavola e in affresco, rendendo gli uomini migliori e più devoti. Per questo i diavoli, indispettiti, ci vanno facendo di questi giuochi, e peggio faranno se non la facciamo finita con questa usanza di levarsi a lavorare prima del giorno".
Con queste e molte altre parole Buffalmacco, aiutato anche dal parere del prete, ottenne che il Tafi cessasse di levarsi avanti giorno e che i diavoli non girassero più la notte per casa con i lumicini. Ma quando il maestro, tirato dal guadagno, qualche mese dopo, ricominciò di nuovo a lavorare la notte e a svegliare Buffalmacco, anche gli scarafaggi ricominciarono ad andare attorno per cui il maestro perse del tutto la sua fastidiosa abitudine. Poi, divulgatasi questa cosa per la città, per un bel pezzo, né a lui né ad altri pittori venne più la voglia di levarsi a lavorare la notte. Era destino che Buffalmacco non dovesse dormire perché, divenuto a sua volta maestro, si trovò ad abitare vicino ad un certo Capodoca la cui moglie attendeva a filare tutta la notte nella stanza adiacente alla camera da letto del pittore il quale, non potendo dormire, cercava un modo di liberarsi dalla seccatura.
"Buffalmacco - prosegue il Vasari - s’avvide che dietro un muro di mattoni, divisorio fra sé e Capodoca, c’era il focolare della mala vicina, e che per un rotto si vedeva ciò che ella faceva. Mediante un tubo sottile fece cadere nella sua pentola una bella manciata di sale per cui Capodoca, non potendo mangiare, cominciò a battere la moglie alle cui grida tutti accorsero e anche Buffalmacco il quale, sentito il motivo, disse a Capodoca: "Io per me non so come il giorno ella si sostenga in piedi, considerando che tutta la notte veglia intorno a questo suo filatoio e non dorme un’ora. Fa ch’ella cessi di lavorar di notte e vedrai che, facendo il giusto sonno, di giorno starà in cervello e non incorrerà in così fatti errori". Capodoca si convinse che Buffalmacco diceva il vero e ordinò alla moglie di non lavorare più di notte.