SILVIA BARDI
Cronaca

Insegnante di danza va a fare pulizie per 200 euro al mese, ma se accetta perde il ristoro

La storia di Letizia Bonciani, titolare della Let Me Dance, simile a quella di altre scuole di danza, palestre e attiività sportive private: "Avevo trovato lavoro, ma avrei perso i rimborsi per la mia attività chiusa dal covid. Ci costringono alla fame"

Letizia Bonciani nella sua scuola di danza

Arezzo 7 aprile 2021 - In piazza del Comune durante le prime chiusure chiedeva sostegno a nome delle palestre, delle scuole di danza, delle associazioni sportive. Le prime a chiudere e le ultime a ripartire. Un anno di fermo è difficile, un macigno a livello economico e lavorativo, e si teme che in molti non riapriranno nemmeno quando sarà consentito. Fare scuola di danza a distanza è quasi impossibile, anche se l’impossibile è stato tentato con attività fisica all’aperto. E così la storia di Letizia Bonciani, insegnante di danza, titolate della Let me dance, è emblematica, una storia simbolo per  tanti nelle sue stesse condizioni. Ferma da un anno, ancora in attesa di un ristoro da ottocento euro  che non copre nemmeno una minima parte di quanto perso in un solo mese di lavoro, era disposta a fare qualsiasi cosa per di continuare a portare uno stipendio a casa. Lo trova,  due ore al giorno per conto di una ditta di pulizie, fa  anche la prova e sta per firmare il contratto quando scopre che se accetta quel lavoro da duecento euro il mese perde il ristoro per la sua scuola di danza. E così deve rinunciare al nuovo lavoro.

Un altro paradosso dell’era Covid, una girandola di numeri e di provvedimenti che non tengono conto non solo delle persone ma nemmeno delle conseguenze  sulla vita reale. “Abbiamo continuato a pagare le utenze e gli affitti per non perdere le nostre sedi, ma noi come privati lì dentro nelle nostre scuole e nelle nostre palestre non ci siamo più entrati. I nostro lavori sono stati considerati da subito pericolosi e superflui - si sfoga Letizia -  anche se l’attività fisica è tutt’altro che superflua anche dal punto di vista psicologico, soprattutto durante la pandemia. Ma la cobsa più assurda è che ho dovuto rinunciare al lavoro perché se accetto qualsiasi altro lavoro, anche con una retribuzione di  100 o 200 euro come quella che avevo trovato, perdo l'idoneità al ristoro una tantum. Non solo ci danno una miseria, ma  ci impediscono anche di fare qualcosa per sopravvivere”. 

La denuncia di Letizia apre un portone su mondo di attività simile alla sua, lo stesso per chi gestisce palestre, scuole di danza, attività sportive da privato. I ristori se hai uno stipendio extra anche minimo rischiano di saltare: “Fra l’altro il rimborso una tantum per un anno intero viene calcolato in maniera diversa anche se uno ha la partita Iva. Io l’avevo aperta perché oltre alla scuola di danza, come attività a margine fornivo alle mie allieve i costumi - spiega ancora Letizia Bonciani - in questo caso il ristoro riconosciuto è del trenta per cento, una cifra ridicola, calcolata sulla media mensile degli anni 2019 e 2020, briciole in confronto agli affitti da pagare nella speranza di poter riaprire l’attività, alle bollette, agli stipendi dei dipendenti per chi ce l’ha.  Proprio in questi due anni avevi aperto una sede a Castiglion del Lago, mi ero accollata il sacrificio di non mettere niente da parte perché ho investito molto in questa nuova avventura e così mi sono ritrovata anche senza risparmi. Per vivere, anzi per sopravvivere, a noi non resta niente”.