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Alberto
Pierini
Avrebbero voluto battezzare il figlio da don Mazzi, il prete rivoluzionario dell’Isolotto. Ma alla fine cedettero al fascino della Verna. Alla quale salirono in quel primo gennaio del 1970, sfidando la neve che già seppelliva il piazzale del Quadrante. Carla Fracci e il marito, Giuseppe Menegatti. A bordo di un pullman partito da Firenze, a bordo del quale c’era la storia della cultura del ’900: oltre a Carla, la stella della danza scomparsa nei giorni scorsi, c’era Eugenio Montale. Il poeta tanto amico dell’etoile da dedicarle una delle sue più sconvolgenti poesie, "La danzatrice stanca", scritta proprio nei mesi che avevano preceduto il battesimo. "Erano stati i frati a insistere tanto" avrebbe raccontato più avanti la stessa Fracci, in un articolo uscito sull’Unità, rievocando quel giorno.
"I buonissimi frati miracolosamente informati chissà da chi intervennero: dovete venire quassù, il vostro ragazzo si chiamerà Francesco, non c’è niente di meglio dei luoghi del santo per battezzarlo". Un pressing sotto il saio davanti al quale Menegatti, della coppia il più convinto del battesimo all’Isolotto, cambiò programma.
"Caro Eusebio...viene con noi?". Eusebio per Carla e il marito in realtà era Eugenio: quegli scambi di nomi tipici tra gli amici ma che anche per questo aprono uno scorcio di familiarità inaspettato dai personaggi che sei abituato a scoprire solo nella loro dimensione pubblica. "Noleggiammo un grande pullman e alle 13 in punto di quel primo gennaio partimmo da Firenze verso La Verna". Il racconto, riportato dai giornali dell’epoca, è di quelli che ritaglia un ritratto alternativo della stella e del poeta. "Non faceva tanto freddo. Montale mi sedeva vicino nella prima fila e io portavo in braccio sulle ginocchia Francesco di due mesi e ventisei giorni, rinvoltato nelle lane".
Alle spalle la notte non insonne ma quasi di Capodanno, il passaggio del decennio, quello sì festeggiato a Firenze. "Il pullman era stipato da tanti amici assonnati come se fosse prima mattina". Una mezzanotte con contorno di brindisi sempre fianco a fianco con Montale.
"Eravamo stati tutti insieme alla festa di fine anno a Palazzo Capponi, da Annamaria Papi: e anche Eusebio aveva passato con noi la mezzanotte". Un Montale per una volta lontano da quel "male di vivere" che ne avrebbe minato l’esistenza e segnato la poesia. Già allora senatore a vita da tre anni ma non ancora insignito del Nobel, che gli sarebbe stato attribuito e consegnato nel 1975. "Montale era il più bello fra tutti – raccontava allora la stessa Fracci – e ci seguiva penultimo. Quella mattina era felice, sbarbato di fino, sciarpa di lana grigia nuova di zecca, capelli argentati lavati di fresco e colorati con un filin di turchinetto leggero leggero...un gran bel poeta seducente...".
Il pullman imbocca la via della montagna. "Dopo Pontassieve all’attacco della prima salita cominciò a nevicare". A bordo un clima da gita tra i thermos di caffè e i canti. Solo, considerando che in maggioranza erano artisti o melomani, niente "montanara" ma arie d’opera, e sarebbe stato davvero un peccato il contrario. "Arrivammo a La Verna che era già quasi sera, una sera chiarissima. Scendemmo in mezzo alla neve. Io portavo Francesco tutto imbacuccato e sprofondavo nella neve che cominciava a gelare".
Eccolo il Santuario d’inverno che ben conosciamo. Ed eccolo il contrasto deciso con l’interno di Santa Maria degli Angeli, la chiesa del battesimo. Ed eccolo il refettorio, circondato dalle panche di legno e riscaldato per la festa. Sopra la foto dei primi momento dopo il battesimo. Padre Policarpo Bello, per nove anni guardiano della Verna, per altrettanti e oltre parroco e punto di riferimento di Saione. Un anno dopo, nel 1971 avrebbe accolto a La Verna Wojtyla, allora cardinale. Volle una cella come la sua. Alla Verna sarebbe risalito da Papa nel settembre del 1993. "Santità – gli disse allora Policarpo – certo che siamo invecchiati tutti e due". E lui lo abbracciò, perdonandolo dello"scherzo" di 22 anni prima: no, non di averlo fatto dormire in una cella ma di averlo messo a fianco di quella di un frate straordinario russatore e che lo fece dormire pochissimo.
Molto meno di quel bambino battezzato nel 1970. "Dopo il Battesimo sotto le grandi terracotte dei Della Robbia, andammo tutti in refettorio per il lungo pranzo fino a notte fonda". La notte della Verna, della neve alta e del freddo pungente. Ma che non li avrebbe fermati a rimettersi subito sulla via del ritorno. "Calmi e sazi, tutti in pullman verso Firenze. Montale sedeva al suo posto, taciturno". Come a riprendere il volto che la storia gli avrebbe attribuito.
"Io accanto a lui con Francesco, ora cristiano e profondamente addormentato tra le mie braccia". Il racconto di Carla si chiude qui, struggente alla luce della morte dei giorni scorsi. A fianco del marito, di quel bambino battezzato con il vestitino che un’amica le aveva prestato: lei, Luciana Novaro, un’altra etoile, morta poche ore prima della Fracci. E a fianco delle rughe ritornate profonde del grande poeta. L’aveva conosciuta per la prima volta nel 1955, l’avrebbe seguita per una parte importante della sua carriera. "Torna a fiorir la rosa che pur dianzi languia" inizia quella poesia che le aveva dedicato nel 1969, quando già aspettava Francesco, qualche mese prima dell’"avventura" della Verna.
E della foto che lo ritrae intenerito e malinconico accanto all’amica e al figlio fresco di battesimo. Seduto su quella stessa panca del refettorio che tuttora accoglie i frati nei loro pasti: ed è rimasta come una sorta di cornice intorno ad una festa di battesimo, all’incrocio magico tra il monte della fede e due stelle inarrivabili del Novecento.