Filippo Boni
Cronaca

Il boia che non si è mai pentito. Gli occhi di ghiaccio di Konrad quando la televisione lo scoprì

Dopo la strage di San Polo fu deputato in Germania e a lungo collaboratore di Willy Brandt: negò fino all’ultimo. Oggi Laura Ewert, nipote di un altro aguzzino, chiede scusa: il perdono è più forte dell’odio

L'eccidio a San Polo

L'eccidio a San Polo

Arezzo, 14 luglio 2024 – Alzò gli occhi di ghiaccio verso il cielo, poi li riabbassò in segno di resa e infine, in una qualche forma di liberazione, li chiuse. "Vi stavo aspettando" disse Klaus Konrad al giornalista Udo Gümpel della tv tedesca Ard. Fu così che il boia nazista di San Polo, divenuto poi anche ex parlamentare della Spd e collaboratore dell’ex cancelliere Willy Brandt nella sua seconda vita, fu scoperto negli anni Novanta per i crimini commessi in Italia durante la Seconda guerra mondiale.

In questa domenica rovente di luglio, tanti anni dopo, a San Polo, gli occhi al cielo saranno i familiari delle 64 vittime ad alzarli, perché i loro cari, massacrati 80 anni fa esatti dagli uomini della Grenadier-Regiment 274 Infanterie-Division del sottotenente Klaus Konrad e del colonnello Wolf Ewert, non ebbero mai la possibilità di costruirsi una seconda vita come loro e la morte, per i due capi nazisti, sopraggiunse prima della Procura militare guidata da Marco De Paolis negli anni Novanta, dopo la scoperta dei famigerati archivi della vergogna. La morte sopraggiunse prima della giustizia su quel crimine, uno dei tanti di quell’epoca oscura, contro l’umanità.

Non si pentì mai Konrad, e con lucidità e freddezza parlò prima di andarsene al creatore, pronunciando parole spietate. "Trovai l’intera faccenda infelice - disse - fucilare 50 o 60 persone è una cosa che colpisce chiunque. Solo che era stato accertato che lì, come ammesso, si trovavano partigiani. Che cosa dobbiamo fare però con 50 o 60 persone, che non possiamo sorvegliare? È possibile anche il peggio. Il colonnello aveva deciso... dovevano essere fucilati". Chissà se pensano la stessa cosa i familiari della donna incinta uccisa a bruciapelo, oppure i parenti del garzone a cui i tedeschi quella tragica mattina fecero portare i panini per i soldati. Perché i fatti, su quella strage atroce, parlano chiaro. E sono raccapriccianti.

Due giorni prima della liberazione di Arezzo, Wolf Ewert e i suoi uomini tra cui Konrad appunto, con un improvviso attacco, liberarono alcuni commilitoni prigionieri, catturarono numerosi partigiani e le persone sfollate nella zona, uccisero alcuni civili, tra cui donne, anziani e bambini, e condussero il resto a San Polo. Li massacrarono dopo ore di spietate violenze e torture. 48 furono obbligati a scavarsi la fossa nei giardini di Villa Gigliosi, furono seppelliti vivi e fatti saltare in aria con la dinamite.

Tra loro appunto anche il ragazzo che portava pane e prosciutto ai tedeschi. Gli fecero posare la cassa e lo mitragliarono sul posto. A freddo. Poi mangiarono accanto al cadavere. Gli altri furono portati fino a San Severo e massacrati tutti, uno dopo l’altro. "C’erano i budelli fin sopra le piante, pezzi di carne e sangue ovunque" raccontarono molti testimoni.

L’operazione repressiva nella zona si concluse con la morte di 64 persone, in uno scenario di raccapricciante brutalità. Le donne intanto erano tornate a casa per preparare la cena convinte che i mariti sarebbero tornati. Era venerdì sera e fino a domenica nessuno seppe niente. A messa don Angelo disse al popolo che gli ufficiali tedeschi prima di andarsene gli avevano detto che tra loro c’erano 48 partigiani non degni di sepoltura. Solo questo. Allora un vecchio che aveva fatto la guerra pensò di andare a vedere al boschetto e con il bastone trovò il punto in cui erano stati sotterrati i corpi.

La puzza non permetteva neppure di respirare e durò per mesi. C’erano moltissime mosche e il sangue sugli alberi. I tedeschi avevano lasciato mine ovunque, ma tutti volevano riconoscere i loro cari. Di un bambino di 16 anni c’era rimasta solo una gamba. Presero i cavalli e caricarono i corpi sui barrocci usati per le merci e li portarono al cimitero per seppellirli. Al termine dell’operazione Konrad fu promosso di grado.

Neppure il suo capo, Ewert Wolf, si pentì mai pubblicamente. Al termine della guerra si ricostruì la sua vita e visse felice fino al 1994, quando si spense senza mai aver trovato un istante per ripensare a quelle atrocità e per dire a sua nipote Laura, che aveva commesso dei crimini impuniti tanti anni prima. Lei crebbe divenne giornalista e madre e solo alcuni anni fa, dopo la morte del nonno, venne a sapere chi fosse stato in verità quell’uomo: un boia spietato mai giudicato da nessuno.

Ma la speranza non muore mai: Laura Ewert stamattina, in questo giorno dal cielo dello stesso colore degli occhi di Konrad, sarà tra i familiari delle vittime a San Polo. Ci sarà pur non avendo nessuna colpa. Ci sarà perché la forza del perdono è più grande di quella dell’odio e attraversa i decenni e l’oblìo e perché la dignità di questa donna profuma di redenzione e speranza. Non solo per lei. Ma per tutti. Ed è una forma altissima di giustizia riparativa per un popolo per troppo tempo lasciato solo e ferito a morte.