Piazza Vasari, davanti al passeggio delle Logge, esibisce una colonna in pietra corrosa più dagli agenti atmosferici che dal tempo: eppure è una copia del 1932. Un restauro sta cercando di conservare il manufatto e la memoria, un antico punto di riferimento. Accanto alle esigenze di spazio libero per l’allestimento ad esempio del mercato, accanto all’esigenza di riunirsi in un unico luogo comune, la "platea Communis" come è denominata la Piazza Vasari nei documenti d’archivio, vi è intimamente connessa l’idea della pubblicità, della massima divulgazione, della globalizzazione dell’informazione: la piazza pare sia stata il primo esempio di mass-media prima del giornale e della radio. Il "vuoto" di Piazza Vasari, l’essenza della "platea", doveva essere segnato sin dal primo quarto, se non prima, del secolo XIV in nome proprio di una funzione di pubblicità, di un espediente per la diffusione dell’informazione. Nel basso medioevo la piazza, quando ancora le cinquecentesche Logge vasariane non erano state costruite, viene dotata di una colonna detta "columna Comunis in Platea Comunis" con funzioni strettamente collegate all’idea di comunità.
Essa è elemento ricorrente negli Statuti comunali del 1327, è uno strumento al servizio del cittadino legato soprattutto ai reati pecuniarii. Gli Statuti, ad esempio, prescrivono che "Una lettera che faccia da pubblico editto dovrà essere apposta sulla porta del palazzo del Comune di Arezzo, nel luogo in cui si rende giustizia, e presso la colonna della piazza del Comune" (Statuto III-80). Si comprende, dunque, come la colonna, detta anche "petrone" per il suo basamento, fosse equiparata agli altri due luoghi di massima pubblicità: il palazzo del Comune, originariamente oltre la "piaggia di S. Martino" alle spalle delle attuali Logge Vasari, ed il luogo delle sentenze capitali, probabilmente da identificarsi, dopo la realizzazione della cerchia muraria trecentesca, in un ampio spazio tra l’odierna Piazza Guido Monaco e la stazione ferroviaria. La colonna accoglieva "apodixa", le citazioni, alle quali si doveva dare la massima divulgazione come si legge nel titolo del "Metodo di procedere nelle cause criminali": il forestiero potrà essere citato solo a mezzo di comunicazione "da porsi, da parte del balitore, sulla colonna del comune". In materia di pegno, inoltre, se il debitore è appunto un forestiero "e non abita nella città di Arezzo deve essere chiamato alla colonna del Comune da un messo o balitore del comune.
In una carta d’archivio del 1556 il notaio del Bargello, a lato del proprio registro, disegnava schematicamente la colonna: pochi essenziali tratti per una colonna di tipo tuscanico, di gusto classico, sormontata da una sfera con in testa una croce, forse ansata; il tutto poggia su di una sorta di cubo, il "petrone". In successive rappresentazioni, di circa trenta anni dopo (1585), la croce è disegnata in modo più lineare. Si ricava da un ulteriore bozzetto dell’ufficiale del Bargello che alla colonna venivano condotti anche soggetti dalla condotta illecita ed ivi esposti per una pubblica diffamazione, in funzione della globalizzazione dell’informazione. Sembrerebbe un tipo di "berlina" ma, nel bozzetto, il soggetto non pare incatenato alla colonna in quanto l’iconografia non è coincidente, iconografia tra l’altro ben conosciuta perché ripetuta anche in altre pagine del registro.
Forse la colonna con la sfera e la croce assistì solo a funzioni giuridico-amministrative e non anche di esecuzione criminale? Probabilmente servì ad entrambi gli scopi tant’è che l’essere stato "al petrone" poteva essere un goffo vanto di notorietà tra gli aretini. La colonna, un intervallo al vuoto della piazza, era funzionale in tutte le sue parti; se la cima con la sfera e la croce attiravano l’attenzione e lo sguardo del lontano passante al di sopra della folla in piazza; se il fusto ospitava citazioni e (forse) soggetti esposti al pubblico ludibrio; il basamento verosimilmente riportava le misure lineari come il braccio, la canna, la mezza canna e, forse, il mattone e la tegola. La copia, realizzata nel riassetto medievale della piazza nei primi anni del Novecento, riporta i campioni in metallo di alcune misure incastonate nel basamento.
Con il passare del tempo, la colonna sembra essere dimenticata e trascurata nella pur minuziosissima veduta della Piazza Grande del secolo XVIII dove non è riportata ma probabilmente compare, come ha notato Marco Botti, nel dipinto del Girelli del 1696 conservato in Fraternita e posta quasi all’imbocco della salita di San Martino. In una lastra di Terreni e Pera (sec.XIX), al posto della colonna, compare un tozzo parallelepipedo sormontato da una croce ma ulteriori rappresentazioni della piazza rilevano la presenza del monumento a Ferdinando III di Lorena: eretto nel 1822, fu spostato a fine secolo nella posizione dell’attuale "petrone" per poi essere collocato all’inizio di via Ricasoli ove ancor oggi si trova. Nel 1932, insieme ad un orgoglioso ritorno stilistico al medioevo, potè tornare in piazza anche la colonna che, con molta probabilità, un tempo si ergeva in una posizione particolarmente visibile. Il restauro in atto consentirà la conservazione della memoria non solo relativa al riassetto della piazza operato in un rinnovato sentimento di "aretinità" e di ritorno al medioevo, tipico dei primi anni del Novecento, ma permetterà di lasciare inalterato un segno che, in passato, ha caratterizzato la piazza e la sua vita tanto da essere più volte riprodotta a lato dei registri di giustizia, nelle incisioni ottocentesche fino alla moderna tradizione della postazione dell’araldo nella cornice della Giostra del Saracino.