Fornasari
Nel ricco calendario di appuntamenti con attrazioni e con spettacoli di luce, che investono il centro storico in occasione di Arezzo Città del Natale, è compreso anche un momento di attenzione al Presepe. Nella Basilica di San Francesco è stato creato un Presepe con statue a grandezza naturale e con proiezione in 3 D, ispirato alla Natività affrescata da Giotto nella basilica francescana di Assisi. Un presepe meccanico e suggestivo è da sempre quello della Badia delle Sante Flora e Lucilla. Arezzo è tuttavia una città ricca di “presepi” che per tutto l’intero anno, se fatti “parlare”, raccontano con una moltitudine e con una molteplicità di dettagli la serie di eventi che iniziando dalla Natività di Gesù il 25 dicembre, data scelta per sostituire la festa pagana del Sole Invitto, si concludono il 6 gennaio con l’Adorazione dei Magi, che nella notte fredda, limpida e stellata, come solo quelle del deserto sanno essere, cavalcano seguendo una stella. Come scrive Franco Cardini, dai loro keffyyeh, stretti intorno al volto, escono gli occhi neri e scintillanti che fissano la scia luminosa che arde in cielo. I loro nomi sono noti, Melchiorre, Baldassarre e Gaspare. Sono di età diversa, come se fossero un solo uomo colto in tre diversi momenti della vita terrena e uno di loro, più giovane, ha la carnagione scura e tratti somatici tipici dell’africano. Tutti e tre giungono dall’ Oriente e rappresentano il mistero, la saggezza e la ricchezza.
Non parlano, il freddo notturno li tiene svegli e recano scrigni con oro, incenso e mirra. I racconti pseudo evangelici di origine orientale hanno conferito spessore a questi personaggi, particolarmente affascinanti, indicati in modo sintetico nel Vangelo di Matteo, forse originariamente redatto in aramaico e poi tradotto in greco, lasciando a loro riguardo alcune ombre. Secondo i Vangeli Apocrifi armeni, i più ricchi di dettagli, il luogo di partenza sarebbe la Persia e la stella che li guida è la luminosità di un angelo.
A questo proposito di grande interesse è una lastra ad altorilievo con l’Adorazione dei Magi nella parete di controfacciata della Pieve di Santa Maria, riconducibile all’attività di Marchio, da Vasari detto Marchionne, e databile intorno al 1216. L’attribuzione, confermata recentemente da Gaetano Curzi e basata su confronti stilistici validi, permette di estendere la conoscenza dell’attività dello scultore, autore certo della lunetta con la Madonna orante tra angeli del portale centrale della stessa chiesa. La lastra con i Magi, opere di notevole importanza, sebbene non troppo apprezzata, è molto probabilmente l’unico elemento sopravvissuto di un antico arredo, forse un pulpito o in pontile.
Di grande rilevanza è la figura della Vergine in trono con il Bambino, che posta di tre quarti, rende leggibile la scritta sul lato "I(n)gr(e)mio mat(ri)s resid(et) sapientia pat(ri)s". Quest’ultima fa riferimento al tema dell’Incarnazione del Verbo, secondo un’elaborazione, che come scrive Curzi, fu definita intorno alla metà del XII secolo. Nella lastra della Pieve si uniscono e si intrecciano temi diversi.
Quello della Vergine come Sedes Sapientiae, tipologia più volte documentata nel territorio aretino e che è enfatizzata dalla presenza del trono monumentale, dalla corona imponente che viene posta sulla testa della Madonna, che non per caso appoggia i piedi su un drago mostruoso, sostituzione dei soliti leoni, ma anche rimando al demonio che Maria, con riferimento all’Apocalisse di San Giovanni Evangelista sconfigge attraverso il suo operato, ovvero la nascita di Gesù destinato. Al drago si riferisce anche l’angelo, l’Arcangelo Michele, come indica la scritta sottostante. L’angelo è però in relazione con i Magi, che sono stati avvertiti da annuncio angelico di non passare da Erode III il Grande, allora re di Giudea, preoccupato per la nascita del “principe d’Israele”. L’angelo, come detto, è anche guida e precursore dei Magi, oggi tra le tante ipotesi sono giudicati casta sacerdotale del popolo medo o re di Persia, di India e di Arabia o seguaci di Zoroastro. Il loro viaggio è confermato dalle parola del profeta Michea quando parla del nascituro Re d’Israele. Tredici giorni dopo al sua nascita che i Magi e il loro seguito lo trovano tredici giorni insieme alla Madre offrendo doni, come richiedeva la prassi di fare omaggio ai potenti. I doni sono stati interpretati da San Bernardo in modo concreto, l’oro è sollievo per la povertà di Maria e Giuseppe, l’incenso profuma l’aria della stalla e la mirra serve a curare il Bambino.
L’oro è stato però letto come tributo alla regalità di Gesù, l’incenso come simbolo di devozione e la mirra, erba medicinale, simboleggia l’umanità fisica e corporea del Salvatore, destinato a morire ed essere sepolto. Anche nella lastra aretina non mancano il bue e l’asinello, animali presenti alla scena della Natività per precisi rimandi simbolici tratti dalle Sacre Scritture, dal libro del profeta Isaia, a sua volta interpretato da Sant’Agostino. Essi non solo indicano l’identità del neonato, ma anche quella delle due parti, che anche davanti ai Magi, nella stalla- grotta si incontrano, gli Ebrei e i Gentili, i circoncisi e gli incirconcisi. In Pieve, alla Natività e alla Lavanda del Bambino fa riferimento un altro pannello con la scritta "P(rae)sepio", giunto in chiesa nel 1912, dopo essere stato trovato in una casa colonica nei pressi di Sant’Andrea a Pigli di proprietà del duca Simone Velluti-Zati.