
di Erika Pontini
"Ecco perché sono qui: perché soltanto qui posso trovare le sapienti mani di artigiani capaci di modellare il mio argento". Giovanni Raspini avrebbe potuto scegliere una qualsiasi location del mondo per proseguire la sua storica impresa ed ha scelto l’Aretino, il luogo natìo, perché lui ne conosce gli aspetti più reconditi legati alla lavorazione dei metalli preziosi. "Sarebbe come chiedere a un viticoltore francese di produrre altrove, o ai perugini di non fare la cioccolata. Qui, solo qui, posso fare impresa e made in Italy". E’, quella di Raspini, una storia d’amore tra sé stesso, la propria professione, e la terra che li accoglie entrambi. Che inizia a Civitella 36 anni fa e prosegue a Monte San Savino nella casa dei Topi d’argento. "Non un polveroso museo ma uno strumento concettuale", l’essenza del suo estro di eclettico architetto. Lo stesso che gli consente di esporre in una teca la collana realizzata con i gusci di conchiglia degli spaghetti allo scoglio mangiati al ristorante o che gli fa scegliere di colare un’arnia nell’argento: un collier da sfilata.
Pezzi unici che trovano posto in un palazzo acquistato nel borgo troppo vicino all’autostrada per essere così lontano dagli itinerari turistici. Poco più di 8mila anime nella Valdichiana che a Raspini ricorda il gusto del gelato che mangiava aspettando sua mamma maestra. "Mia madre veniva qui per i Consigli di istituto. Mi lasciava in pasticceria. Mangiavo quattro gelati ed ero felice. Quei gusti ancora me li ricordo". All’ingresso sulle grate delle finestre, un topino in argento ricorda ai passanti il senso di questa impresa, un atelier in cui sembra vincere la contraddittorietà: c’è la segreta ’King Kong suite "con gioielli fatti con orangotango, scimpanzè, crani di corvo, denti di cinghiale .... gioielli da dementi per stupire" e opere in bronzo e rame in cui, al posto del presepe, ha fatto realizzare una scena del film ’La pazza gioia’ di Virzì. C’è tutto un mondo.
E i topi?
"I topi fanno parte del nostro universo figurativo, siamo specialisti nella fusione a cera. E dobbiamo avere la possibilità di lavorare in chiaroscuro. Topi, coccodrilli, tartarughe, iguane. Ho ancora il cruccio di lavorare la pelle di leopardo, troppo liscia".
Raspini, ci racconta questa storia?
"Mi faceva noia fare l’architetto, troppa burocrazia e così, 36 anni fa ho visto questa azienda: 12 dipendenti in tutto, esperti nella fusione. Ed eccomi qua ma ho conservato la mentalità dei contadini: se devo comprare una cosa che costa dieci devo avere cento".
Perchè questo Palazzo?
"Serviva un posto in cui raccontare visivamente le nostre cose. È vero che si fa il made in Italy ma devo farlo toccare con mano".
E c’è necessità di raccontare?
"Oggi c’è la fissazione dello storytelling. Noi abbiamo una storia vera ma va raccontata e questo è un luogo in cui si possono incontrare gli artisti, le persone che collaborano all’esecuzione dei nostri gioielli".
Mi diceva: i suoi artigiani sono anche anziani?
"Il campione Giancarlo Fulgenzi ha 92 anni e non si ferma mai. Quando c’è stato il Covid e non sapevo cosa fargli fare gli ho detto stiamo fermi, mi ha minacciato ‘Vado per il corso di Arezzo con un cartello con scritto ‘Raspini mi ha licenziato’".
E lei, cosa ha fatto?
"Gli ho fatto realizzare queste cassettiere con gli animali in argento aggrappati agli angoli".
E i giovani?
"Ho anche i ragazzi, uno stagista di 22 anni... diventerà una stella. Ha capacità, manualità, talento. E adesso parte un corso di scultura".
Una dimensione dell’impero Raspini?
"Vuole proprio una dimensione? Centoventi collaboratori, 22 negozi fra Italia e estero, un fatturato tra i 25-30 milioni con 2 milioni di utile che ci aspettiamo di raddoppiare".
L’azienda nasce come arredamento per casa, le cornici di Raspini sono un pezzo di storia...
"Attualmente per il 95% produciamo gioielli e il 5% casa, tavola, oggetti regalo. È un mondo che non vogliamo abbandonare perché veniamo da lì e desideriamo non perdere competenze".
Ma perché oggi si dovrebbe comprare un gioiello?
"Oggi si spende non per fare ma per possedere e partecipare ai riti collettivi. La vita passa attraverso i segni: l’abbronzatura, i denti bianchissimi, la chirurgia plastica".
E anche i gioielli?
"Fanno parte del sistema, come le borse o le cinture".
E la casa?
"E’ spoglia, dentro c’è solo tecnologia, e tanta voglia di uscire. Pensi, vengono da me le signore con trolley pieni di argenteria che vogliono fondere e tutte dicono la stessa frase ’Mia figlia non li vuole in casa’".
Meglio l’argento o l’oro?
"L’argento è il nuovo oro. L’oreficeria è tramontata, è costosissima. Noi facciamo scontrini medi tra 150 e 300 euro".
Il nuovo ’lusso’
"Brandizzato e accessibile".
E nel Distretto dell’oro...
"Siamo favoriti dal poter lavorare: quello Aretino è uno dei distretti orafi più importanti d’Italia in cui possiamo trovare accessori, banchi metalli e le aziende terziate".
Si può fare lo stesso in Cina?
"Ognuno conosce la propria realtà: non facciamo numeri così grandi da pensare a una delocalizzazione e il tipo di artigianalità di qualità che riesco a ottenere dalle mie maestranze non potrei trovarla altrove. Sarei un folle".
Il futuro dell’impresa aretina?
"C’è dinamismo, capacità e un’enorme sottovalutazione dell’artigianalità in questo territorio fatto di intraprendenza e valore. Ma l’azienda piccola non trova spazio: o nasci brandizzato o riesci a costruire un tuo brand o sei condannato a fare il terzista".
E adesso l’architetto Raspini che fa?
"Coltivo la mia passione per la scultura".