La promessa di Enrico. Campione paralimpico: "Vittoria per mio figlio"

Dopo l’argento di un anno fa per l’atleta castiglionese arriva la medaglia d’oro. La famiglia e lo sport come risposta alla sclerosi, l’esempio di Zanardi. "In bici ogni giorni: allontana lo stress e mi aiuta a tenere allenato il fisico".

La promessa di Enrico. Campione paralimpico: "Vittoria per mio figlio"

Enrico Fabianelli sul gradino più alto del podio insieme al figlio

di Matteo Marzotti

CASTIGLION FIORENTINO

"È stato quasi più bello mantenere la promessa che avevo fatto a mio figlio che il risultato". Le parole sono quelle di Enrico Fabianelli, classe 1986, da pochi giorni nuovo campione italiano paralimpico di mountain bike. Prima di partire la promessa fatta al figlio Edoardo che gli aveva chiesto di migliorare il secondo posto dello scorso anno. Detto e fatto. La storia di Enrico - nato in Brasile e a 6 mesi adottato da una famiglia di Castiglion Fiorentino - è un esempio di come lo sport possa essere una leva, una motivazione, anche nei momenti difficili della vita, come quando gli è stata diagnosticata la sclerosi multipla.

"È stato un fulmine a ciel sereno - ricorda Enrico - era il 2010 e all’epoca non sapevo molto di questa patologia, di questo nome così grande. Era da un po’ di giorni che avevo la parte destra del corpo come addormentata e devo ammettere che un dottore fu particolarmente scrupoloso, non si soffermò ai primi sintomi".

Da quel giorno cosa è successo, cosa è cambiato?

"Ovviamente c’è stato un momento di paura. Devi capire se la malattia è aggressiva o meno e per fortuna nel mio caso non ho dovuto limitare la mia attività. Sono sempre stato uno sportivo ed ho continuato anche dopo a praticare attività fisica. Dallo spinning al ciclismo. Anche oggi mi alleno praticamente tutti i giorni dalle due alle tre ore".

Lo sport è stato di aiuto.

"Esattamente - risponde Enrico - sia perchè mi ha aiutato a sopportare e allontanare lo stress, sia perchè mi ha permesso di tenere il mio fisico attivo, prestante, e questo permette di non accusare eventuali ricadute".

La sua esperienza nel ciclismo però è legata anche alla Obiettivo3 e a Zanardi. Come è nato questo legame?

"Una sera stavo guardando un’intervista ad Alex Zanardi nella quale oltre a raccontare la sua esperienza spiegava questo progetto per diffondere la pratica sportiva paralimpica. L’obiettivo era quello di reclutare quindi ragazzi e ragazze, uomini e donne. È scattata una molla in quel momento. Io non avevo bisogno di aiuti particolari, alla fine utilizzo una mountain bike come tutti gli altri, però quello di Alex è comunque un esempio positivo di chi non si arrende nonostante ti possa accadere qualcosa di brutto. Sentivo che questo progetto mi avrebbe dato maggiore forza e magari sarebbe stato di aiuto per chi si fosse trovato a fare i conti con il proprio problema".

Tornando alla gara per il titolo tricolore che prova è stata?

"Per me è stata la più bella prova della mia carriera - confessa Enrico - a maggio ho dovuto fare i conti con alcuni problemi fisici, non sono stato bene. Poi quando ho ripreso ad allenarmi ho cercato di dare tutto me stesso perchè lo scorso anno ero arrivato secondo e tornando a casa con la medaglia d’argento avevo in mente l’idea di realizzare questa rivincita. È stato un grande impegno tra lavoro, famiglia e allenamenti. Direi che alla fine è stata una giornata perfette dove sono tornati indietro tutti i sacrifici fatti".

C’è una dedica per questo titolo italiano?

"La maglia tricolore è per mio figlio. Perchè lo sport richiede sacrifici e tempo, e poi perchè glielo avevo promesso. È stato bello mantenere la promessa, forse anche più bello della vittoria".