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Cronaca

La storia della fabbrica. La carica di 5mila donne prima della lenta agonia di un simbolo di riscatto

Il concetto americano dello stabilimento nato grazie all’idea di Caterina Bianchi capostipite della famiglia che ha fatto la storia dell’economia locale.

Claudio

Prima due stabilimenti nel 1962. Poi il terzo, cosiddetto "Americano" nemmeno due anni dopo. I fratelli Mario e Giannetto Lebole, gonfiano le vele della loro industria di confezioni con il vento della produzione di massa. Via Ferraris diventa uno dei simboli della nuova industria europea. All’inaugurazione dello stabilimento Americano arriva anche Amintore Fanfani, presidente del Consiglio.

Il servizio Rai lo vede protagonista e con lui solo uomini in giacca e cravatta o con abito talare. Non si vedono donne: né quelle di ieri, né quelle di domani. Quelle di ieri sarebbero stata una sola, Caterina Bianchi. Era nata nel 1902 e già a 10 anni si svegliava alle 2 di notte per seguire i genitori che vendevano stoffe nei mercati del nord.

È a questa ragazzina che la Lebole deve la sua storia. Vivrà due guerre mondiali e alleverà quattro figli. Sarà presente nelle prime attività di Giovanni detto Giannetto, Mario, Gina e Lina. Quando la Lebole diventerà una delle più importanti industrie italiane, lei si farà da parte.

Le donne del futuro sarebbero state le ragazze che avrebbero lavorato, a migliaia, nello stabilimento di via Ferraris. Dopo il laboratorio in via Margaritone nel 1957 e la prima industria alla Chiassa, nel 1961 è il momento della grande fabbrica in via Ferraris. Lavori conclusi nel 1962 e il 4 gennaio di quello stesso anno, il capitale sociale passa da 2 milioni a 2 miliardi di lire.

Un balzo che ha il marchio dello Stato: le Partecipazioni statali acquisiscono il 50% della Lebole. Nel 1963 le vendite raddoppiano e la politica di espansione si manifesta nella moltiplicazione delle aree industriali. A Siena viene acquistato il terreno per uno stabilimento con un organico di 2.500-3.000 addetti: rimarrà sulla carta. Gli altri si concretizzeranno: Matelica nelle Marche, Gagliano in Sicilia e poi Empoli, Terontola e Rassina.

Verrà ampliata anche la fabbrica di via Ferraris con la costruzione del terzo stabilimento che verrà chiamato "l’Americano": qui vengono applicate le teorie produttive dello statunitense Kurt Salmon. Gli stabilimenti diventano i contenitori di una nuova classe operaia al femminile, giovane e determinata.

L’inizio è con 3.000 nel solo stabilimento di via Ferraris che arriverà ad un massimo di 5.072 nel 1971. Il numero totale dei dipendenti con le consociate salirà fino al 1974 con 7.232. Poi il declino. Parallelo ai conti aziendali: utili fino al 1969, pareggio nel 1970 e nel 1971. Poi 30 anni di ininterrotte perdite. Nel 1972 si consuma il divorzio tra i fratelli Lebole e l’Eni. L’ente di Stato sarà quanto meno distratto nella gestione della Lebole e alla fine il ministro De Michelis dice basta. La Lebole e l’intero gruppo Lanerossi vanno all’asta: Marzotto batte Benetton nel 1987.

Ma anche in questo caso la vecchia fabbrica aretina si ritrova a recitare la parte di Cenerentola: Pietro Marzotto ammetterà di non averla mai voluta. Dal 1987 al 2002 quindici anni di accordi e tribolazioni. Nessun licenziamento ma una lenta consunzione. Prima la vendita dell’area occupata dallo stabilimento e poi, nell’aprile 2002 la cessazione dell’attività produttiva. A casa le ultime 245 operaie.

Da quel giorno il terreno calpestato da operaie, dirigenti, politici, presidente del Consiglio è rimasta un’area in progressivo degrado. Fino a oggi.