L’addio a Giovannetti. Il chierichetto diventato vescovo nel ricordo di quel giorno tragico

Il prelato che ha ha lungo guidato la diocesi di Fiesole si è spento a novant’anni nel giorno dell’ottantesimo anniversario della strage. Aveva 10 anni e raccolse il testimone del prete-eroe Alcide Lazzeri. .

L’addio a Giovannetti. Il chierichetto diventato vescovo nel ricordo di quel giorno tragico

L’addio a Giovannetti. Il chierichetto diventato vescovo nel ricordo di quel giorno tragico

Filippo

Boni

Il chierichetto che la mattina del 29 giugno serviva la messa a Civitella aveva dieci anni, si chiamava Luciano Giovannetti e non poteva sapere che l’apocalisse che di lì a poco avrebbe distrutto il suo paese, per lui che si salvò, sarebbe stata la scintilla della vocazione, che dopo alcuni anni lo volle prete e poi vescovo per tanto tempo. E come in un gioco beffardo del destino, si è spento proprio ieri sera Giovannetti, nel giorno dell’ottantesimo anniversario della strage di Civitella, all’età di 90 anni. Lui che vide l’apocalisse e che ne fu testimone per tutta la sua esistenza. L’inferno sopraggiunse con gli uomini dell’armata Goering, unità specializzata nella preordinazione di massacri di civili che in Italia tra il 1943 e il 1945 durante l’occupazione dell’Italia da parte della Germania contribuì a uccidere 26mila innocenti tra uomini, donne e bambini. Tra loro anche quelli di Civitella, Cornia e San Pancrazio di Bucine, che caddero in 244 totali.

L’apocalisse sopraggiunse mentre don Alcide Lazzeri, la mattina del 29 giugno 1944, giorno dei santi patroni del paese, San Pietro e Paolo, si piegò sull’altare e vi posò un vaso di giunchiglie bianche. Chiuse gli occhi. Quel profumo ogni volta gli faceva rivedere sua madre. La osservò sorridere. Poi rialzò la testa, aggiustò la tovaglia sull’altare e si avviò in sagrestia per indossare l’abito talare e cantare la prima messa del mattino.

Nella chiesa di Civitella, quel 29 giugno 1944 molte persone avevano già preso posto tra le panche. C’era aria di festa nonostante negli abitanti albergasse la paura dei nazisti presenti nel territorio e già minacciosi nei giorni precedenti, in seguito ad uno scontro a fuoco avvenuto il 18 giugno nel circolo tra alcuni tedeschi che stavano giocando a carte e i partigiani della banda Renzino, che li colpirono provocando nelle fila naziste due morti e due feriti. Don Lazzeri iniziò a recitare la messa. Alzò le braccia. “In nomine patris...”.

Improvvisamente, si udirono spari e un fumo acre riempì il tempio. Urla e disperazione squarciarono violentemente la quiete del mattino. Tutti si paralizzarono. Il prete s’interruppe, mentre in chiesa confluivano abitanti terrorizzati.

“Ci sono i tedeschi! Ammazzano tutti!”. Il priore ne fece entrare il più possibile, poi chiuse l’uscio della chiesa e li benedisse con un segno di croce. Dopo pochi istanti i soldati iniziarono a colpire il portone, urlando al sacerdote di aprire minacciando di dar fuoco a tutto. Il priore, impaurito, obbedì. Gli comparve di fronte una scena apocalittica. I soldati rastrellavano gli uomini e li trascinavano in piazza, incendiavano le case, bruciavano tutto. Don Lazzeri trasalì, si rivolse al comandante. “Loro sono tutti innocenti. Liberateli e prendete me, vi offro la mia vita”. Quello sorrise. La carneficina in realtà aveva avuto inizio alle 5 e 30, mentre l’unità Hermann Goering risaliva la collina per massacrare tutti gli abitanti. Ne caddero 149 sotto i colpi delle mitraglie, cercati ovunque, casa per casa, soffitta per soffitta, cantina per cantina, uccisi a gruppi di cinque. Una giovane madre morì bruciata nella propria abitazione, carbonizzata assieme alle figlie di due e cinque anni.

Dopo la strage, le vittime furono derubate di tutti i preziosi e i soldati se ne andarono per continuare gli stermini. A seguire infatti colpirono gli abitati di Cornia, Morcaggiolo, Gebbia, Burrone e Solaria. La stessa tattica, in contemporanea, la applicarono a San Pancrazio, altro paese del vicino comune di Bucine, dove uccisero 71 persone.

L’operazione coinvolse in un solo giorno 244 vittime, mentre cinque giorni dopo gli stessi perpetratori si accanirono contro gli abitanti del comune di Cavriglia, dove massacrarono altri 192 civili inermi. La provincia di Arezzo quella tragica estate fu una delle più colpite d’Italia dalla furia nazista con oltre tremila vittime. La maggior parte dei caduti e dei loro familiari nel corso di questi 80 anni non ha mai avuto giustizia. Lo scorso 25 aprile il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, venne proprio a Civitella per rendere loro omaggio, ieri mattina invece si sono tenute le celebrazioni religiose e civili nel giorno dell’anniversario.

Nessuno poteva immaginare che proprio nei prossimi giorni si svolgeranno anche i funerali di Luciano Giovannetti che quella mattina era solo un chierichetto e che entrò in seminario due anni dopo l’eccidio divenendo prete nel 1957. In una delle sue ultime testimonianze sottolineò di continuare a sentire la voce di don Alcide. “Cari ragazzi, quando non ci sarò più, vorrei che qualcuno di voi prendesse il mio posto”, disse il parroco di Civitella ai suoi chierichetti prima della guerra. Quel posto lo prese Giovannetti, che si è spento proprio nel giorno dell’anniversario della morte del suo maestro.