FEDERICA ORLANDI
Cronaca

L'anticipo del Venerabile: "Gelli versò un milione di dollari per la strage di Bologna"

L’ipotesi nell’inchiesta sui mandanti: «A luglio 1980 incontro a Roma per la consegna della somma in contanti, tesoro distratto dall’Ambrosiano»

Licio Gelli

Bologna, 24 agosto 2020 - Una data – il 31 luglio – e un luogo – Roma – che incorniciano una coincidenza. Ritenuta decisiva dagli inquirenti della Procura generale, impegnati nelle indagini sui mandanti della strage in stazione, il 2 agosto 1980. Indagine che ha portato alla richiesta di rinvio a giudizio per Paolo Bellini, ex di Avanguardia nazionale ritenuto tra gli esecutori, e per l’ex generale del Sisde Spella, l’ex capitano dell’Arma Segatel e l’imprenditore immobiliare Catracchia, accusati di depistaggio.

Archiviati perché deceduti, i «mandanti e finanziatori» Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi. Torniamo alla coincidenza. Il 31 luglio 1980 a Roma ci sono Gelli, registrato in hotel con il suo factotum, l’imprenditore toscano Mario Ceruti, Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, latitanti e arrivati in aereo da Palermo sotto falso nome.

È l’occasione in cu, secondo gli inquirenti, Gelli o un suo emissario avrebbe consegnato loro un milione di dollari in contanti, per compiere la strage. Denaro distratto dal crac del Banco Ambrosiano e conservato in conti in Svizzera riconducibili al Venerabile e in parte intestati e gestiti dallo stesso Ceruti: è proprio lui che, quando il Venerabile nell’82 sarà arrestato la prima volta per lo scandalo P2, li avrebbe svuotati per intascarsene il contenuto (indagini sono in corso a riguardo).

Le indagini coordinate dal Procuratore generale Ignazio De Francisci e dall’avvocato generale Alberto Candi, condotte da Finanza e Digos, hanno ricostruito la scia dei soldi, oltre 5 milioni di dollari, che sarebbero stati destinati al finanziamento della strage.

Finendo nelle tasche degli esecutori, ma anche di chi ha contribuito all’organizzazione – il prefetto legato ai Servizi Federico Umberto D’Amato, cui sarebbero andati 850mila dollari, poi investiti in una villa a Parigi – o al depistaggio, come il giornalista e senatore piduista ’Msi Mario Tedeschi, direttore del ’Borghese’: a lui sarebbero andati 20mila dollari, secondo l’appunto di Gelli «artic.», forse articoli. Gli altri 3 milioni sarebbero stati impiegati per depistaggi e attività della destra eversiva.

Proprio tra le carte dell’indagine sul Banco Ambrosiano gli odierni inquirenti trovano il «documento Bologna», ancora nel portacarte del Venerabile, con un numero di conto svizzero. Che questi avesse legami con la strage, secondo gli inquirenti è evidente dal «documento artigli», indirizzato all’allora ministro dell’Interno Amintore Fanfani.

È la trascrizione della conversazione tra l’avvocato Dean, di Gelli, e il capo della polizia Vincenzo Parisi. È il 1987 e il legale respinge l’accusa di «calunnia» (depistaggio) per la strage, giudicandola «tragicamente ridicola». E dopo avere ricordato come «questo ufficio possa fare molto per Licio», rivela che questi, se costretto, «tirerà fuori gli artigli». Il documento, non si sa se mai giunto a destinazione, è stato rinvenuto negli archivi della polizia di via Appia.

Non è l’unico legame. Oltre alla compresenza a Roma due giorni prima della strage, a legare Gelli e la destra eversiva c’è ancora D’Amato. L’ex direttore dell’Ufficio Affari riservati degli Interni, conosce bene Stefano Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia nazionale, con cui aveva portato avanti la campagna di disinformazione anti Pci «operazione manifesti cinesi». «Un incontro tra Gelli e i Nar? – commenta l’avvocato Alessandro Pellegrini che difende Gilberto Cavallini, ex Nar condannato in primo grado come esecutore in concorso della strage –. È semplicemente incredibile»