REDAZIONE AREZZO

L’aretino che possedeva mezzo Egitto Vizi e virtù di Gaio Cilnio Mecenate

Ricco come un Creso, fu il vero artefice dell’industria della ceramica che rese famosa nel mondo la città. Amante di un ballerino e amico di Augusto che però ebbe una "scandalosa" relazione con la moglie

Claudio Santori

Dici “mecenate” e nove italiani su dieci pensano a un signore di larghe vedute che favorisce la conservazione e il recupero di opere d’arte, sovvenzionando artisti e letterati. A dieci aretini su dieci viene invece in mente il busto ottocentesco di Caio Cilnio Mecenate, che si trova nei giardini dell’Anfiteatro Romano.

Aretino doc e con molta probabilità nato proprio ad Arezzo, discendente da “avi che furono re”, come ci rammenta Orazio, Mecenate deve la sua fama a quello che è stato in fondo solo uno dei tanti aspetti di una personalità ricca e estremamente complessa: uomo coltissimo e di vaste letture latine e greche com’era, gli veniva naturale proteggere gli artisti e i letterati, che facevano capo al famoso circolo, ma fu ben altro che un “mecenate”.

Prima collaboratore ufficiale di Augusto e poi per decenni suo occulto consigliere, Mecenate è stato il primo vero tycoon della storia (un finanziere come Crasso, al confronto, era un poveraccio!): un magnate straricco, abilissimo speculatore, proprietario di immensi terreni (che non si limitava ad accumulare, ma anche abilmente amministrava) e un vero capitano d’industria sui generis! Ottaviano infatti in un’epistola lo elogia con vari epiteti altisonanti, fra i quali spiccano “lasar Arretinorum” e “iaspi figulorum”, ossia silfio degli Aretini e diaspro dei ceramisti. Ora, il silfio era il nome che si dava a parecchie piante dalle speciali proprietà aromatiche e medicinali mentre il diaspro era la pietra per eccellenza dell’Etruria: tradurrei dunque “baluardo degli Aretini” e “pietra preziosa, gioiello dei ceramisti”.

Per quanto l’epistola sia ben nota, anche i più grandi storici del principato, dal Syme all’Earl, all’André, pur illuminando a giorno i rapporti fra Augusto e il suo uomo di fiducia, hanno tralasciato di indagare su queste definizioni che sono state invece illuminanti per il nostro mai dimenticato Franco Paturzo! Ci voleva infatti uno storico anche laureato in farmacia ed esperto di chimica, nonché studioso appunto dei manufatti aretini, per individuare, in un agile ed informatissimo saggio (Mecenate, Calosci, 1999) nel Nostro il vero motore dell’industria squisitamente aretina della ceramica a vernice rossa che, guarda caso, proprio in età augustea raggiunse il suo massimo splendore.

Ci volevano grandi capitali per far affluire ad Arezzo dall’oriente le maestranze necessarie per la realizzazione pratica della raffinatissima tecnologia necessaria per la produzione ceramica: un’operazione che non poteva non essere “guidata dall’alto, nel tentativo speculativo di sviluppare un’industria ceramica - spiega Paturzo - che, con una forte attivazione delle strutture dello stato, potesse dominare l’intero bacino del Mediterraneo”. Lo stato, cioè il principe, e i grandi capitali personali del suo consigliere operano il miracolo dell’immensa fioritura industriale degli “arretina vasa”!

Maestranze orientali, si è detto: e chi se non Mecenate poteva organizzare questo flusso, proprietario com’era di immensi possedimenti in Egitto? E di altrettanti in Spagna e nell’ Etruria e nella Gallia Cisalpina! Certo pensare che c’è stato un tempo, dopo la campagna militare di Alessandria, in cui un aretino possedeva mezzo Egitto è abbastanza scioccante! E in Egitto, sia detto en passant, ha soggiornato a lungo per curare i propri interessi fra il 29 e il 28 a. C. insieme con l’amico Virgilio; e mentre il poeta si ispirava ai luoghi per le scene egiziane delle “Georgiche”, lui pianificava i grandi investimenti romani sul territorio!

I grandi storici del principato hanno focalizzato la loro ricerca sull’esatta natura del potere “politico” di Mecenate all’ombra di Augusto, illuminandone a giorno anche il rapporto con il suo principale “rivale”, l’ammiraglio Marco Vipsanio Agrippa (il cui nome svetta nel frontone del Pantheon) passando quasi sotto silenzio il fatto che Mecenate si distinse anche come militare ad Azio, come stratega e ricoprì perfino anch’egli un incarico di ammiraglio. Senza contare l’attività di storico, saggista e poeta i cui superstiti frammenti lirici sono stati recentemente rivalutati.

Certo la sua immagine “privata”, quando cioè non era impegnato in speculazioni e spericolate diplomazie (è opera sua per esempio l’accordo di Taranto col quale Ottaviano si riconciliava con Antonio), non è esemplare: era tacciato di effeminatezza ed era criticata l’eccessiva influenza che aveva su di lui il suo amante favorito, il giovane e brillante attore e ballerino egiziano Batillo. Anche se il momento più critico della sua vita fu la relazione che sua moglie Terenzia ebbe proprio con Augusto: poco mancò che la decennale amicizia e collaborazione si sciogliesse, ma fu la classica tempesta nel bicchiere d’acqua perché non ci fu alcuna rottura e Mecenate nel suo testamento lasciò proprio il principe suo erede universale.

Certo la tresca dovette essere di pubblico dominio, come testimonia il delizioso cameo del coevo pittore Arellius, dove si vede Augusto che tresca con Terenzia, mentre Mecenate finge di dormire.