Alberto
Pierini
I camion si presentarono alla porta del monastero di Camaldoli la sera del 31 ottobre 1940. Tra i primi freddi di una stagione che nella foresta sacra gioca d’anticipo. E quelli di un mondo scivolato in una guerra senza precedenti, alla quale da pochi mesi aveva aderito anche l’Italia. Ad accogliere i camion padre Antonio Buffadini, il superiore del monastero: conosceva bene il tedesco e questo sarebbe tornato comodo a lui e alla salvezza delle opere che vennero affidate a Camaldoli. La salvezza dalla guerra. La salvezza dai nazisti.
La Venere con il cagnolino di Tiziano, il ritratto di Leone X e la Madonna della Seggiola di Raffaello, i ritratti di Federico da Montefeltro e di Battista Sforza di Piero della Francesca, l’Annunciazione di Leonardo. In quel camion parcheggiato al monastero e dal quale le casse più preziose della terra scivolavano verso il Chiostro del Maldolo c’erano opere che oggi ne farebbero la mostra più importante del mondo.
Una pagina di storia leggendaria e che Alessia Cecconi, la curatrice della mostra aperta al Castello di Poppi ("Michelangelo rapito: i capolavori in guerra dagli Uffizi al Casentino"), ricostruisce nei dettagli. La grande bellezza dell’arte affidata ai luoghi protetti della valle santa. Che da sempre paga il prezzo più alto alla carenza di collegamenti ma che in questo caso del limite fece la sua forza.
Un flusso di arrivi dagli Uffizi e dai grandi musei di Firenze iniziato il 23 ottobre. Gli stessi camion ma in quel caso parcheggiati al Castello di Poppi. Qualche nome di quel giorno? La Nascita di Venere di Botticelli, la Madonna del Cardellino di Raffaello, il Ritratto di vecchio di Rembrandt, l’Adorazione dei Magi di Durer, la Deposizione dalla Croce e il Giudizio Universale del Beato Angelico. Casse chiuse, sigillate agli Uffizi, secondo un procedimento studiato dal soprintendente Giovanni Poggi e da Ugo Procacci, responsabile del Gabinetto Restauri. Veniva fatto un disegno schematico della sala con l’indicazione dei quadri appesi alle pareti. E tutto per poterli rimontare facilmente al rientro, un fiotto di fiducia e di speranze del futuro. Con l’occasione tutti i dipinti venivano riguardati prima di essere imballati, fermandone il colore dove possibile. A Poppi furono accatastate nel piano basso, ai piedi della grande scalinata di accesso.
Tra il 23 ottobre e il 16 novembre del 1940 i camion in arrivo non solo da Firenze affidarono nelle mani del podestà 89 casse. . In contemporanea cento opere degli Uffizi sbarcarono a Camaldoli. Un lungo letargo, nel quale furono affiancate da un terzo prezioso deposito di arte: la villa di Giuseppe Bocci a Soci.
E qui finirono 150 opere conservate in 112 casse provenienti dagli Uffizi e da tutta Firenze. Procacci, meticoloso come gli innamorati, in una minuta del 15 luglio 1942, anche questo fa parte del racconto di Alessia Cecconi, programmò la riapertura delle casse di Poppi. Tutto per verificare lo stato di conservazione delle opere. Quasi perfetta: un po’ di muffa nella Bella di Tiziano, qualche tarlo in due Madonne di Botticelli e piccole screpolature in un dipinto del Beato Angelico.
Ricognizione che portò ad altri arrivi: in tutto le casse nel castello sarebbero state 410, con 334 dipinti, 16 sculture, 296 oggetti d’arte. Mentre fuori la tranquillità si incrinava. L’Armistizio, l’invasione tedesca, i bombardamenti alleati, la costruzione della Linea Gotica con il passaggio del fronte carico di distruzioni anche in Casentino. L’unico deposito intatto rimase quello di Camaldoli: il superiore fece issare la bandiera pontificia sul tetto della chiesa, a ulteriore protezione. E tra le celle e i locali oltre ai quadri trovarono rifugio centinaia di sfollati, tra soldati inglese in fuga, partigiani. I tedeschi tentarono una requisizione, il 23 agosto 1944: a dissuaderli fu padre Antonio Buffadini, forte della sua retorica e del suo tedesco.
Tempi più bui per la villa di Soci e per il Castello di Poppi. Oggetto di tiri di artiglieria, di mine, di razzie. Da Poppi proprio in quel 23 agosto 37 casse furono portate in Alto Adige. Ed è in questa fase che sparì per sempre la Maschera di Fauno di Michelangelo e la cui copia campeggia insieme ad altre reperti nella mostra aperta nel castello. Imperdibile. Opere a parte vi immergerete in un viaggio nel tempo, sulle orme di quei camion e di quelle casse della traversata tra la possibile distruzione e la salvezza. Salvezza che Procacci estese fino a Sansepolcro: fu sorpreso dai bombardamenti nell’alta valle del Tevere mentre trasportava dal Borgo il Polittico della Misericordia di Piero.
Sotto il fuoco alleato, insieme ad un restauratore che si chiamava Edo Masini,: non abbandonò il furgone con il capolavoro ma rimase a sorvegliarlo sotto le esplosioni. Resistendo alla tentazione di scappare. "Ma come potevo fuggire? Non potevo lasciarlo così. Pensai: morirò, pazienza".
Negli anni sarebbe stata costruita l’epopea dei Monument’s Men, le squadre speciali in missione per recuperare i capolavori durante la guerra. Non diteglielo: ma furono superati in curva da miti restauratori e grandi sovrintendenti in grado di scegliere la cosa giusta al momento giusto.
O di vigilare sull’ultimo viaggio di un capolavoro, a bordo di un furgone bersagliato dalle bombe.