
Salvatore
Mannino
In apparenza sono solo nomi: cosa cambia se una strada si chiama via delle Rose o via dei Biancospini? Non sempre però la scelta è così neutrale, come nel caso dei fiori. Anzi, la topografia di qualsiasi città è il frutto di una complessa sedimentazione storica e anche di un’attenta politica della memoria, che mette in evidenza i valori in auge nel momento in cui si intitola una via o una piazza a questo o quel personaggio, a questo o quell’evento storico.
Nel centro di Arezzo due sono stati i momenti che hanno portato a una rivoluzione dell’odonomastica (così si chiama) cittadina: il periodo del Risorgimento che impone alle strade principali i nomi dei padri della patria, i tessitori dell’Unità nazionale, e quello successivo al fascismo, dopo la Liberazione del 16 luglio 1944, che spazza via tutte le intitolazioni riferibili al Ventennio, comprese quelle riguardanti la Monarchia, che del Regime era stata ampiamente complice.
Concentriamoci oggi, dunque, su quest’ultima fase storica, sulla prima ci sarà modo di tornare, anche perchè la scelta dei padri della patria da onorare fu oggetto di un aspro dibattito politico. Ma torniamo al fascismo. Chi leggesse oggi la targa di intitolazione del Corso vedrebbe che sotto c’è "Antico Borgo Maestro". Nessun riferimento, invece, al nome intermedio che la principale strada aretina ebbe dagli anni ’80 dell’800 fino al 1945 e dintorni: Corso Vittorio Emanuele, come il Re Galantuomo, morto nel 1878 e subito fatto oggetto di questo omaggio.. In altre città, le strade a lui dedicate sono rimaste (per esempio a Milano), qui invece le giunte post-Liberazione , scelsero di eliminare ogni riferimento di carattere monarchico, puntando sul più repubblicano Corso Italia.
Lo stesso accadde per Piazza Umberto, tornata San Francesco, come da nome originario cambiato nel 1882 con deliberazione di un’amministrazione moderata, per non parlare di piazza Principe Amedeo, già della Posta Vecchia (lì nel Palazzo di Badia c’erano le poste fino al 1923), tornata all’antica definizione di Piazza della Badia.
Ma il lavoro di ripulitura non finì lì. "Epurati" anche i viali, costruiti nel ventennio, che dalla nuova zona di Trento Trieste (altro nome derivante dalla Grande Guerra) conducono fino al Prato: Viale del Re, altro nome monarchico, divenne Viale Buozzi, sindacalista fucilato dai tedeschi nel ’44, l’altro, viale del Littorio, subì una vera nemesi: da simbolo fascista all’intitolazione alla principale vittima del Regime: viale Matteotti.
E qui siamo nel campo delle targhe più direttamente riferibili al Ventennio: piazza della stazione ad esempio era stata trasformata pomposamente in Piazzale del Duce. Nome frettolosamente cancellato per intitolarlo alla Repubblica. La piazza della prefettura, costruita anch’essa in piena epoca fascista su progetto del grande Michelucci, aveva preso il nome di Piazza Corsica, come una delle rivendicazioni annessionistiche del Regime. Anch’essa subito cancellata.
Curioso infine il destino di via Oberdan, trasformata in via Aldo Roselli, uno dei tre "martiri" di Renzino, mito fondante del fascismo aretino. Inutile dire che fu in breve restituita all’eroe dell’irredentismo.