Cinque milioni di beni confiscati e quattro anni di sorveglianza speciale. Francesco Lerose è cosiderato legato alle cosche di ’ndrangheta Gallace di Guardavalle e Grande Aracri di Cutro dalla procura di Firenze che indaga sullo scandalo keu.
Di origini calabresi, Lerose risiede a Pergine: con il figlio Manuel e la moglie Annamaria Farragò è indagato nell’ambito dell’inchiesta sugli scarti di lavorazione delle concerie e, in parte, delle aziende orafe.
Beni sono stati sequestrati a tutti i componenti della famiglia. Tra depositi, Mercedes e Porsche, conti, negozi, magazzini e fabbricati si tratta di una confisca che tocca i cinque milioni di euro. Per lo smaltitore calabrese, classe 1969, c’è anche la sorveglianza speciale: per quattro anni non potrà allontanarsi dalla propria abitazione senza avvertire le autorità, non uscire nelle ore notturne e non detenere armi. Inoltre, al sorvegliato speciale vengono revocati il passaporto e la patente di guida.
La Dda ha coordinato le indagini, che sono state portate avanti da più articolazioni dei carabinieri e della Dia: fra queste, Noe, forestale, Ros sezione anti crimine, polizia giudiziaria.
Gli stabilimenti che facevano capo alla ditta Lerose, a Bucine e Pontedera, sono centrali nell’inchiesta keu sullo smaltimento dei fanghi tossici provenienti dagli scarti delle aziende della palletteria in Valdera. Da Pontedera la prossima settimana inizierà l’operazione di rimozione dei rifiuti annunciata dalla Regione. Poi, sarà la volta dello stabilimento di Bucine.
L’indagine Keu dei carabinieri forestali di Firenze ha riguardato anche i lavori sulla strada regionale 429 Empoli-Castelfiorentino, nonché altri episodi di inquinamenti nel Valdarno aretino e in provincia di Pisa.
Francesco Lerose è considerato responsabile di uno scempio ambientale che si sarebbe protratto per anni. Questo si legge nelle pagine dell’avviso di conclusione delle indagini fatto notificare dalla procura ai 26 indagati per il keu, ossia la cenere dei rifiuti conciari che nonostante la presenza di sostanze altamente inquinanti finivano in attività edilizie col tramite degli impianti di smaltimento Lerose.
Un’inchiesta che farà luce anche sui rapporti con due colossi del recupero dei metalli preziosi: la Chimet di Badia al Pino e la Tca di Castelluccio avevano affidato il trattamento delle scorie di lavorazione ai Lerose. I dirigenti delle due aziende del settore orafo sono accusati di disastro ambientale con operoso ravvedimento e falso, per non aver indicato come rifiuti pericolosi gli scarti di lavorazione.
f.d’a.