
di Alberto Pierini
Il nostro "esercito di terracotta" è stretto nelle fasce dei bambini di Castelsecco. Che non hanno l’espressione vuota ma marziale delle statue del primo imperatore Qin a Xi’an ma quella quasi dimessa di chi chiede solo di nascere. O ringrazia di essere nato. E’uno dei piccoli tesori custoditi dal Museo Archeologico: e che l’orario ridotto da carenze drammatiche di personale di sicuro non aiuta a mostrare al mondo. Ma ora quei volti semplicissimi di neonati stretti nelle fasce avranno la loro ribalta.
Il Museo degli Uffizi li ha chiesti in prestito. "E’ vero – conferma con un sorriso quasi ispirato a quello dei suoi "bambini di terracotta" la direttrice Maria Gatto – e dovrebbe trattarsi di un evento in autunno legato alla raffigurazione dei bambini". Lei li tiene in bella evidenza in una delle prime vetrine del museo. Una decina ma sono solo la punta dell’iceberg. "Nei magazzini ne abbiamo un’ottantina". Un vero mini-esercito di terracotta. Sono quasi tutti uguali, visto che venivano realizzati attraverso degli stampi: ma non tutti. "Il più bello ha perfino una sorta di spilla da balia a chiudere le fasce" racconta.
E dietro i volti si nascondono quelli di chi raggiungeva nella notte dei tempi, in periodo etrusco e poi in periodo romano, il colle di Castelsecco. Secondo gli studi più accreditati era il sacrario più importante dell’Etruria, dedicato a Tinia, in pratica il Giove degli etruschi e a Uni, la dea della fertilità. La protettrice della maternità. La dea alla quale le famiglie si rivolgevano per ricevere il dono di un figlio.
Immaginatevi, dietro quei volti disarmanti di terracotta, una fila di pellegrini, uomini e donne. Che si muovevano dai vari angoli del territorio per questo faccia a faccia con la divinità. E ciascuno di loro portava in dono uno di quei "bambini". Un ex voto, dallo stampo antico: ma la sostanza resta esattamente la stessa di alcuni santuari moderni, sulle cui pareti si allargano quadretti, immagini, statuine di ringraziamento. Ma quei "bambini" erano un ringraziamento per l’avvenuta maternità o un modo per "ingraziarsi" la divinità? "C’erano entrambe le forme che poi si incrociavano nel sacrario". E Maria Gatto ricostruisce anche la storia controversa dei ritrovamenti. "Ne sono stati trovati via via in diversi scavi: una parte purtroppo è andata perduta. E a volte sono stati buttati perché confusi tra i laterizi delle case".
Tutto lassù, in quel colle che oggi parla soprattutto a chi sa leggerlo al di là del profilo: che ne rivede il santuario etrusco e poi romano. Tra il II secolo avanti Cristo e il primo dopo Cristo ospitava strutture civili e religiose. A spiccare due templi: uno dedicato a Tinia e l’altro a Uni. Di base la madre terra, che per la spiritualità di allora era quella che dettava i tempi delle coltivazioni. E quindi proteggeva le nascite. Ed ecco le radici profonde di quei bambini di terracotta. Il cui messaggio da allora è raffigurato dai loro volti, spesso dispersi. E in quelli conservati nell’ombra protettrice del museo archeologico. Ora su di loro si accenderanno tutti i riflettori degli Uffizi. Ma raccomandiamoci perché facciano piano. Per non svegliarli: o almeno per non spaventarli.