FILIPPO
Cronaca

L’esodo dall’Istria dopo la tragedia delle foibe. Laterina come una riserva indiana per vent’anni

I profughi del campo valdarnese si sentivano confinati all’interno di una barriera che sembrava senza fine dal Dopoguerra al 1963

I profughi del campo valdarnese si sentivano confinati all’interno di una barriera che sembrava senza fine dal Dopoguerra al 1963

I profughi del campo valdarnese si sentivano confinati all’interno di una barriera che sembrava senza fine dal Dopoguerra al 1963

Boni

Fu come una riserva indiana. Da una parte del filo di ferro di recinzione loro, le loro esistenze sospese e perdute, i loro ricordi e le loro memorie inghiottite dalla storia, dall’altra il mondo. La Toscana del dopoguerra, travolta e ferita a morte dalla Seconda guerra mondiale, ma mai realmente uccisa, con la voglia di vivere e di ricominciare. I profughi del campo di Laterina si sentivano confinati all’interno di una barriera che sembrava non avere fine: le baracche di legno in fila indiana, una dietro l’altra. Le finestre senza i vetri, c’erano solo coperte per coprire l’implacabile gelo invernale. Polvere e solitudine irreversibile, senso di smarrimento, radici perdute. E dentro, per gli esuli dalmati dimenticati, ancora oggi ci sono le loro storie che, come spettri, aleggiano in questo fazzoletto di provincia di Arezzo di cui si parla troppo poco. Quegli esuli erano coloro che nell’immediato secondo dopoguerra si rifugiarono in Italia per sfuggire al comunismo jugoslavo e alla sua opera di snazionalizzazione nelle terre della Venezia Giulia e Dalmazia, occupate dalle truppe di Tito e in seguito assegnate dalle potenze vincitrici alla Jugoslavia: questo laboratorio multietnico che esploderà dopo il crollo del muro nel sangue dei conflitti balcanici degli anni Novanta. Le loro storie, grazie al grande studio effettuato da Elio Varutti con l’aiuto di Claudio Ausilio, sono state cucite con sapienza e tenerezza in un libro edito da Aska nel corso del 2023 "La patria perduta, vita quotidiana e testimonianze sul centro raccolta profughi Giuliano Dalmati di Laterina 1946-1963" ed oggi appartengono, per fortuna, alla memoria collettiva. Il volume, alla vigilia del Giorno del Ricordo dedicato alle vittime delle Foibe, sarà presentato oggi alle 17 nella Sala Consiliare di Palazzo Guinigi a Laterina Pergine Valdarno dal Sindaco Jacopo Tassini, dal Vicepresidente del Consiglio regionale della Toscana, Marco Casucci, dall’autore del libro, Elio Varutti e da Daniela Velli, Presidente A.N.V.G.D. Firenze e Consigliere Nazionale della stessa Associazione. La vicenda del Campo profughi di Laterina è infatti stata solo accennata nei libri di argomento storico generale fino ad oggi. Questo libro rappresenta senza dubbio una novità.

Dal 1941 al 1943, sotto il fascismo, questo fu un campo di concentramento per prigionieri inglesi, sudafricani e canadesi. Sottoalimentazione e scarsa igiene nelle baracche provocarono nei 2.500-3.000 prigionieri varie malattie debilitanti, come dissenteria e tifo. Poi, per un anno, divenne un reclusorio sotto la sorveglianza nazista, ma dopo la liberazione del territorio del Valdarno, avvenuta nel corso del 1944 a cura della VIII Armata britannica, si trasformò in un campo di concentramento per tedeschi e repubblicani della Rsi catturati al Nord fino al 1946.

Da allora, per quasi vent’anni, per la precisione fino al 1963, funzionò come Campo profughi per italiani in fuga dall’Istria, Fiume e Dalmazia (per oltre 10mila persone totali), terre assegnate alla Jugoslavia col trattato di pace del 10 febbraio 1947. Sono loro gli italiani della patria perduta. Patirono il freddo e la fame. Misero in discussione la propria esistenza, persero tutte le certezze. Tra i più anziani di loro ci fu un alto tasso di suicidi. A Laterina giunsero pure alcuni sfollati dalle ex colonie italiane. Il libro ricostruisce tutte le vicissitudini con precisione e dettagli storici fondamentali. Dalle testimonianze sui primi anni del Crp aretino alle storie dei più piccoli, che qui devono studiare e seguire il catechismo, costruire una vita comunque sia e comunque vada. C’è la storia della fuga dei Tardivelli, da Fiume a Laterina, nel 1948. Ci sono i Bazzara di Parenzo, tra il maresciallo Harzaric e l’esilio in Australia. Poi ci sono i Pettener da Pola a Laterina e pure la storia di quel profugo che volevano gettare dalle mura del paese e il destino volle che venisse salvato da un comunista. Dal terzo capitolo in poi invece si prendono in rassegna i cuccioli, ovvero i più piccoli, che furono costretti ad andare a scuola nel campo e che qui crebbero con tutti gli stenti possibili. Il libro passa in rassegna anche i tanti campioni di sport e artisti passati dal campo provenienti da Istria, Fiume e Dalmazia. E come potevano mancare gli angeli custodi nel campo? I preti. Non esisteva un libro che trattasse in modo specifico questi anni di vita quotidiana e di incontro-scontro con la popolazione locale, fino alla completa integrazione sociale, mediante qualche matrimonio misto e, soprattutto, col lavoro e con l’assegnazione delle case popolari ai profughi.

Colpevolmente si parla troppo poco del dramma che questo popolo visse. I profughi istriani, fiumani e dalmati, sono vittime di una vicenda storica ignota ai più, vittime della loro stessa mitezza, e non hanno avuto nel tempo neppure il conforto di sapere che altri conoscano la loro storia. Quasi nessuno conosce la tragedia che vissero. Soffrirono, persero le radici e rischiarono di essere dimenticati. Ora quel campo, quel che resta di quelle baracche e porta in silenzio quelle storie, attende in silenzio, come un seme sotto la neve, che qualcuno lo trasformi in museo e ridia la voce perduta a un popolo dimenticato.