REDAZIONE AREZZO

L'incubo della 'Ndrangheta: groviglio sospetto di rifiuti, appalti e favori

Contatti tra un tecnico del Genio Civile e un imprenditore ritenuto vicino alla cosca Gallace. Lerose voleva interrare scarti pericolosi di provenienza Chimet (l’azienda all’oscuro di tutto)

Il procuratore Creazzo

Il procuratore Creazzo

Arezzo, 17 aprile 2021 - Appalti in cambio di sconti per le vacanze di famiglia. E’ un’altra delle ipotesi di accusa che emerge dalla lettura delle voluminose carte della Dda di Firenze sulle infiltrazioni della ’Ndrangheta in Toscana. E non è esente la provincia di Arezzo dopo le indagini che hanno portato agli arresti Francesco e Manuel Le Rose, padre e figlio, residenti a Pergine e titolari di una stbilimento a Levane per lo smaltimento dei rifiuti, ritenuti vicini al clan Grande Aracri di Cutro.

Alla loro ditta si rivolgevano, in perfetta buona fede, grandi aziende aretine come Chimet, ma anche Pavimental, società del gruppo Autostrade. Non solo le vicende dei Lerose fanno parte dell complesso di inchieste che infatti individuano un’altra figura centrale, Antonio Chiefari, considerato vicino a un’altra cosca, i Gallace Novella di Guardavalle in provincia di Catanzaro.

Il coinvolgimento di Chiefari ha portato a galla il nome di un dipendente regionale del Genio Civile del Valdarno Superiore (la cui sede è ad Arezzo dietro palazzo del governo), Massimo M., assistente tecnico professionale. L’ipotesi di accusa è che i rapporti fra i due fossero «finalizzati all’affidamento di pubbliche commesse». Chiefari e Massimo M. preferiscono non parlare al telefono ma si incontrano di persona in bar e stazioni di servizio.

La contropartita per gli appalti sarebbe un notevole sconto che il funzionario ottiene per le vacanze di famiglia in un camping villaggio di Tropea, il Poseidon, gestito da Antonio Coscia, pure lui ritenuto vicino ai Gallace Novella, già consigliere comunale a Guardavalle quando nel 2006 quel comune venne commissariato per infitrazioni della criminalità oganizzata.

Nel maggio 2019, ricostruisce la Dda, Chiefari rifiuta dal funzionario del Genio un appalto di somma urgenza a Pistoia (sede logisticamente scomoda) e altrettanto fa in luglio per lavori sull’argine dell’Arno a Bibbiena (la ditta è in ferie). Ma a Chiefari, dopo un incontro al Genio, verranno assegnati lavori, sempre per massima urgenza il che consente l’intervento in deroga, a Spoiano e a Civitella per la realizzazione di un muro a scogliera.

C’è anche un’intercettazione nella quale si sente Massimo M. che avverte Chiefari di un’imminente ispezione al cantiere, per poi chiamarlo successivamente chiedendo se è andato tutto bene. Va peraltro aggiunto che secondo il giudice l’ipotesi accusatoria «non è corroborata da indizi gravi». Quanto alla citazione del Consorzio di Bonifica Valdarno, pare che il riferimento fosse al Medio Valdarno.

Dalla sede aretina nessun commento, ritenendosi l’ente (che tra l’altro non è catalogabile come pubblica amministrazione) completamente estraneo all’inchiesta. Tornando invece alla famiglia Lerose, a fine settembre 2019 i carabinieri forestali del nucleo di polizia giudiziaria di Arezzo intercettano Manuel Lerose, figlio di Raffaele e titolare dello stabilimento di Levane, mentre parla con lo zio Salvatore e gli spiega di voler utilizzare il piazzale, scavandone la parte superficiale, per interrare i rifiuti provenienti dalla Chimet, per poi chiedere alla Regione l’autorizzazione a stoccarne ottantamila tonnellate, sempre di origine Chimet.

Riferisce che il padre Raffaele, saputo del piano, aveva risposto che poi non avrebbe più potuto utilizzare il piazzale. Poco male, la replica, «il guadagno è di quattro milioni puliti». L’intervento della polizia giudiziaria avvenuto in giugno metterà a nudo l’interramento. Il tutto, va ribadito, all’oscuro di Chimet che aveva scelto per lo smaltimento quell’azienda perché iscritta alla Camera di Commercio e perché la più vicina a San Zeno, con risparmio sui trasporti.

Insomma, rifiuti e cantieri sui corsi d’acqua, più la droga e il favoreggiamento dei latitanti della famiglia Andreacchio, già coinvolta nella sparatoria di Meleto del 2009, in un intreccio fra cosche amiche e rivali al tempo stesso che dà la conferma di come le infiltrazioni criminose non risparmino più nessuno