L’intervista immaginaria. La verità di Pietro Aretino: "Le litigate con Tiziano?. Sono tutte invenzioni"

Il dialogo surreale con l’autore dei "Sonetti lussuriosi" dove rivela i retroscena di una vita avventurosa. "Sono sopravvissuto alle coltellate, anche se la notizia della mia morte si era diffusa, provocando gran soddisfazione nei miei nemici".

L’intervista immaginaria. La verità di Pietro Aretino: "Le litigate con Tiziano?. Sono tutte invenzioni"

Il dialogo surreale con l’autore dei "Sonetti lussuriosi" dove rivela i retroscena di una vita avventurosa. "Sono sopravvissuto alle coltellate, anche se la notizia della mia morte si era diffusa, provocando gran soddisfazione nei miei nemici".

Claudio

Santori

Maestro Pietro, Divino Aretino, siete proprio voi?

"Ma che maestro, ma che divino, non mi pigliate in giro",

Non mi permetterei mai. Non so se lo sapete, ma la vostra fama è andata crescendo di secolo in secolo e oggi, nel terzo millennio, siete famosissimo. Mi domando se siete disposto a darci qualche chiarimento una volta per tutte: i nostri lettori sono vostri grandissimi ammiratori...

"Non me ne meraviglio: ho avuto tanti nemici, ma per mia fortuna anche tanti amici. Comunque, se i vostri lettori sanno qualcosa dei miei costumi e della mia vita, e crepano d’invidia, non posso che goderne".

Avete avuto una vita movimentata. Ce la racconti.

"Cominciarono a cercare di farmi la pelle quando ero giovane e ancora ci provano".

Avevate una trentina d’anni quando scoppiò lo scandalo delle posizioni di Giulio Romano incise da Marco Antonio Raimondi, e il datario Giberti assoldò Achille de la Volta, bolognese, per assassinarvi...

"Già, quell’uomo che per mia fortuna non ebbe la man ferma, anche se bordò sodo, se bordò sodo...".

Vi conciò male, ma non riuscì a farvi fuori, e voi fuggiste da Roma, dove vi siete trovato ad assistere al sacco, una cosa terribile, immagino.

"Ma cosa volete immaginare, voi: bisogna esserci stati in certi frangenti, per capire. Non ho dubbi. Mi risulta, comunque, che alla fine avete deciso di viver della vostra penna d’oro e avete trovato a Venezia. la nicchia giusta. Qui avete colto nel segno: a Venezia mi son trovato proprio bene tra tante belle donne...".

Maestro, per l’amor di Dio, fermatevi. I lettori son gente di mondo, aperti e tolleranti, ma non si sa mai... Piuttosto raccontateci voi come andò la faccenda delle pugnalate.

"Sono sopravvissuto per miracolo, anche se la notizia della mia morte si era intanto diffusa in un baleno provocando una gran soddisfazione nei miei nemici. Dal Papa non ebbi soddisfazione e me ne andai da Roma: il maledetto sicario non avrebbe di certo fallito il colpo una seconda volta".

Si maligna che siete nato in un ospedale.

"Non è malignità, purtroppo. Sono nato in un ospedale, la notte tra il 19 e il 20 aprile 1492. Mio padre faceva il ciabattino, e se ne andò di casa lasciandoci, mia madre e due sorelle, senza un soldo. Non volli mai portare il suo cognome plebeo, preferendo farmi chiamare l’Aretino. A vent’anni ero belloccio e piacqui molto al banchiere Agostino Chigi, capite cosa voglio dire, ma questi morì troppo presto per potermi sistemare. I suoi eredi, che mi vedevano come il fumo negli occhi, mi cacciarono via accusandomi ingiustamente di aver rubato".

Diteci qualcosa delle vostre figlie...

"Adria e Austria: le ho amate veramente, come nessun padre può amare le proprie figlie. E le ho sistemate bene entrambe". A proposito di matrimoni: avete combinato voi quello di Giorgio Vasari?

"Ma cosa dite? Il Vasari, mio carissimo amico, doveva sposare, per desiderio del papa Giulio III, Nicolosa Bacci, la figlia del mio amico Francesco al quale ho semplicemente dato buoni consigli".

A proposito di amici pittori; è vero che con Tiziano litigavate spesso?

"Assolutamente no. Chi mette in giro simili calunnie? Solo una volta c’è a stato uno screzio tra noi perché avevo lodato il Tintoretto che Tiziano odiava. Per non compromettere l’amicizia con Tiziano fui costretto a parlare male del Tintoretto che a sua volta si arrabbiò. Mi invitò a casa sua con la scusa di farmi il ritratto e quando fui là, tirò fuori un pugnale. Spaventato a morte cominciai a gridare, al che il Tintoretto calmo calmo: “Niente paura - disse - voglio prendervi la misura, voi siete lungo tre pugnali e mezzo“. Naturalmente, capita l’antifona, non osai più parlare male del Tintoretto e chiusi con lui per non perdere l’amicizia di Tiziano che, peraltro, mi tenne il muso per qualche settimana. Tutto qui. Ma ora, lasciatemi in pace: sono stanco. Vi ringrazio di avermi detto che in qualche modo ho raggiunto l’immortalità, anche se, forse anche da vivo mi avrebbero potuto riconoscere... Tutte buggerate, lasciamo perdere".

Capisco cosa volete dire: effettivamente avrebbero potuto...

"Vi ho detto di lasciar perdere: sono tutte sciocchezze".

Perdonate la mia insistenza, ma, diciamolo pure, avervi negato la berretta da cardinale è stata un’infamia.

"Potete dirlo forte: è vero, in fondo è stata l’unica vera delusione della mia vita. Mi pareva di averne il diritto più di tanti altri, con le meravigliose opere di devozione che avevo all’uopo scritto, ma avevo scoperto troppi altarini di papi avidi e che dire lussuriosi è poco, e la mia speranza di diventare cardinale era effettivamente vana".

Maestro, non ho parole: vi comprendo e vi auguro la pace che avete meritato. In fondo avete, se mi posso permettere di usare questa parola, sputtanato, ipocriti e farabutti: secondo me, e credo di interpretare il pensiero dei nostri lettori, avete fatto opera meritoria.

"Avete ragione, giovanotto e vi ringrazio. Ma se avete letto i miei versi, sapete che tutto questo io l’ho scritto a chiare note: Sett’anni traditor ho via gettati con Leon quattro e tre con ser Clemente. E son fatto nemico de la gente più per li lor che per li mei peccati e non ho pur d’entrata due ducati".