Boni
Si chiamava Palmira. Viveva in un paesino sperduto tra le montagne della Lunigiana, San Terenzo Monti, incastonato nei boschi tra Liguria, Emilia e Toscana. Durante la Seconda guerra mondiale da quelle parti passava la linea gotica ed i nazisti si macchiarono di efferati crimini contro l’umanità. Palmira, insieme ad altre sue concittadine, di lavoro portava sulla testa, dai monti verso valle, delle ceste bilanciate al millimetro. Una modalità di trasporto diffusa in varie parti del mondo tutt’oggi, ma quasi sempre riservata alle donne che, con l’esercizio, dona a chi lo compie un portamento elegantemente eretto ed aristocratico.
Lei era già nonna quando un giorno, nell’agosto del 1944, i tedeschi la prelevarono assieme ad altri, perlopiù donne e bambini, la illusero a lungo sulla salvezza, la fecero ballare al suono di un organetto e poi le spararono e la uccisero. Fu un’agonia lunghissima, la sua e quella delle altre vittime, un’angoscia durata due giorni, mentre il comandante tedesco dava ordine di compilare le liste e tenere bene i conti dei cosiddetti "morti di scambio". Alcuni erano prigionieri già da qualche tempo e furono uccisi in modo più feroce, altri furono ammazzati quasi incidentalmente perché sulla linea di tiro di un MG42, il parroco fu freddato appena aprì il portone ai nazisti. Il conto totale dei morti arrivò a 159 vittime. Una strage atroce, tra le più efferate mai perpetrate in Toscana e in Italia in quel periodo. Quello era il numero delle vittime da accertare firmato dal comandante, il maggiore Walter Reder, mentre si trovava a tavola, pacatamente seduto al ristorante del paese.
Questa storia, per troppi anni dimenticata, è stata ricostruita e narrata da Agnese Pini in un romanzo storico bellissimo, "Un autunno d’agosto", edito nel 2023 per Chiarelettere. L’autrice, ripartendo proprio dalla vicenda personale della bisnonna Palmira, ricostruisce i tasselli del drammatico disegno nazista messo in atto nel paese delle sue origini.
Un libro illuminante, che ha riscosso un grande successo e che da alcuni mesi è divenuto anche uno spettacolo teatrale dal titolo "Un autunno d’agosto. Una storia d’amore mentre la guerra torna a fare paura". L’opera, riduzione teatrale a firma Bottega Instabile in collaborazione con Officine della Cultura, è a cura di Elena Miranda per la regia di Luisa Cattaneo, con la stessa Cattaneo e Gabriele Giaffreda, presenta musiche originali di Luca Roccia Baldini eseguite dal vivo da Madoka Funatsu alla fisarmonica ed è in programma all’Auditorium Le Fornaci di Terranuova Bracciolini giovedì 16 gennaio alle 21.15 e il 24 gennaio al teatro Verdi di Monte San Savino.
Nello spettacolo, Luisa Cattaneo e Gabriele Giaffreda accompagnano lo spettatore dentro la storia profonda e toccante che già Agnese Pini nella sua opera prima ha tratteggiato con grande maestria, e le danno corpo, voce e musica, grazie anche alle atmosfere create dal vivo da Santiago Fernandez.
Si tratta appunto del primo adattamento teatrale del testo uscito un anno e mezzo fa in tutte le librerie, riscuotendo grandi apprezzamenti di critica. La rappresentazione, oltre a compiere uno spaccato storico straordinario, come del resto aveva già fatto il libro, consente finalmente di riaccendere i riflettori anche sulla storia delle vittime dei massacri nazifascisti in Italia e dei loro familiari, la maggior parte dei quali rimasti senza giustizia e dimenticati per una precisa ragion di stato per troppi anni rimasta celata.
"Una storia così" più volte ha ribadito la stessa Agnese Pini, "lascia un segno indelebile nelle famiglie che l’hanno subita, e appartiene a tutti i sopravvissuti e ai figli dei sopravvissuti. È una storia di umanità e di amore perché, soprattutto nei momenti in cui vita e morte sono così vicine, l’umanità e l’amore escono più forti che mai. L’ho sentita raccontare fin da quando ero piccola: la raccontavano mia nonna, mia madre, mia zia, ma per molto tempo ho pensato che fosse un capitolo ormai chiuso della storia d’Italia e della mia storia personale. Grazie anche al lavoro che faccio, ho capito invece che quel capitolo era tutt’altro che chiuso, che lì si nascondono gli istinti più inconfessabili di ciò che possiamo ancora essere. L’ho capito con la guerra in Ucraina, vedendo come certi orrori si perpetuino sempre identici al di là delle latitudini e degli anni. E l’ho capito perché nel nostro paese c’è un periodo, il ventennio fascista, che ancora non riusciamo a guardare con una memoria davvero condivisa. La storia raccontata in questo libro può diventare allora un’occasione per tornare a ciò che siamo stati con una consapevolezza nuova. Del resto, la resistenza civile di un paese si può tenere viva solo restituendo verità e dignità al destino degli ultimi. Questo è un libro sugli ultimi ed è a loro che è dedicato, perché su di loro si è costruita l’ossatura forte e imperfetta di tutto il nostro presente, dunque anche del mio". E la memoria di quegli ultimi oggi rimane la più grande forma di giustizia riparativa. E chi la coltiva non compie solo un atto di redenzione, ma anche d’amore.
Per Palmira e per tutti quelli come lei, che sono stati ammazzati e dimenticati tra le radici contorte e insanguinate della nostra storia.