
Carabinieri in ospedale (foto d'archivio)
Arezzo, 16 giugno 2020 - Una notte di strordinaria follia alla Fratta. È quanto rievocato ieri di fronte al giudice Stefano Cascone durante il processo per la morte di Sergio Botti, l’anziano aggredito da Alessandro Lorenzi, il paziente psichiatrico al tempo ricoverato all’ospedale cortonese. Ieri in tribunale sono sfilati i testi del pubblico ministero Bernardo Albergotti, l’udienza è stata aggiornata al 6 luglio, ma i racconti di chi quella notte si trovava nel reparto sono da film ad alta adrenalina.
Le lancette e il calendario tornano all’una di notte del 9 luglio 2014, quando Lorenzi, dopo il ricovero in psichiatria, si risveglia e chiede di andare in bagno. Gli infermieri di turno, Beri e Vinerba, gli stessi che hanno testimoniato in aula raccontando i fatti, gli indicano la toilette. Quando torna, è a loro che Lorenzi chiede di fumare una sigaretta. Non si potrebbe ma per evitare tensioni lo strappo viene concesso.
Ma il giovane, un gigante di un metro e novanta per cento chili, comincia a essere fuori di sé e la sigaretta la spegne sulla spalla di uno dei due infermieri che mantiene stoicamente la calma. L’infermiera Vinerba interviene, «dai Alessandro, riprendiamo la terapia». Non fa in tempo a finire la frase che le arriva un pugno in faccia. Mentre Beri la soccorre, Lorenzi apre la porta ed entra in medicina.
Quella porta non non può essere chiusa perché il giovane non è entrato in Tso ma in trattamento sanitario volontario dopo aver dato un cazzotto al babbo, ricnhiduerlo sarebbe sequestro di persona. Nell’altro reparto, intanto, Lorenzi entra in una stanza, poi ne esce e balza addosso al povero Sergio Botti che stava dormendo nel suo letto. «Un colpo da wrestling», lo definisce in aula il maresciallo Donato Amodio che si trovava lì per assistere un familiare ricoverato.
Anche la sua testimonianza ieri in aula, il comandante dei carabinieri di Castiglion Fiorentino era stato infatti il primo insieme agli infermieri a contenere Lorenzi, con l’aiuto di Beri arrivato dopo aver soccorso la collega, pure lei intervenuta per sedare Lorenzi. Botti morirà alcuni giorni dopo al San Donato a causa delle lesioni, come ha riferito il medico legale Gabrielli. Morirà anche Lorenzi, ma suicida a Montelupo Fiorentino schiacciato dai sensi di colpa.
È lì nel 2018 che finisce la storia di un giovane finito in crisi per una delusione d’amore, guarito grazie ad una terapia che nel 2013 aveva deciso di allentare, supportato da uno specialista di Lucca che lo aveva trovato in buone condizioni. Poi le botte al padre e il trattamento volontario, considerato dal professor Ferracuti, consulente della procura, quale motivo iniziale delle pieghe prese poi dalla vicenda.
A processo la ex dirigente Rosa Lamantia, la psichiatra Paola Bevilacqua e il primario Roberto Borghesi, assistito dall’avvocato Luca Fanfani, mentre il legale di parte civile è Donata Pasquini. Ad aggrovigliae il quadro c’è stata poi la testimonianza della psichiatra Barbara Santucci che, entrata in servizio un mese prima, subito espresse perplessità alla dirigenza sulle condizioni da lei ritenute inadeguate del reparto.