CLAUDIO
Cronaca

Luca Pacioli, il frate ancora da best seller Plagiò le scoperte matematiche di Piero

Una lettera di questo biturgense del Rinascimento chiave di un omicidio nell’ultimo noir del commissario Rocco Schiavone. Ecco chi era

Claudio

Santori

Una sua lettera su Leonardo diventa la chiave per risolvere un omicidio. Già, c’è anche Luca Pacioli nell’ultimo best seller ("Vecchie conoscenze") di Antonio Manzini, quello del commissario Rocco Schiavone, uno dei maestri del noir all’italiana, ispiratore dell’omonima serie Tv sul poliziotto letterario più famoso dopo Montalbano, Ricciardi e i Bastardi di Pizzofalcone. Chi è allora questo personaggio del Rinascimento aretino capace ancora di ispirare i romanzi più venduti del terzo millennio?

"Piero della Francesca dal Borgo a San Sepolcro -scrive il Vasari in apertura della di lui vita- essendo stato tenuto maestro raro nelle difficoltà de’ corpi regolari e nell’aritmetica e geometria, non potette, sopragiunto nella vecchiezza dalla cecità corporale, mandare in luce le virtuose fatiche sue et i molti libri scritti da lui, i quali nel Borgo, sua patria, ancora si conservano. Se bene colui che doveva con tutte le forze ingegnarsi di accrescergli gloria e nome, per aver appreso da lui tutto quello che sapeva, come empio e maligno cercò d’annullare il nome di Piero suo precettore, et usurpar quello onore, che a colui solo si doveva, per sé stesso, publicando sotto suo nome proprio, cioè di fra’ Luca dal Borgo, tutte le fatiche di quel buon vecchio, il quale, oltre le scienze dette di sopra, fu eccellente nella pittura".

Fra Luca dal Borgo è il celebre Luca Pacioli (Sansepolcro 1445-Roma, 1517), frate minore ed insigne matematico, che di Piero è stato effettivamente allievo, il cui plagio, denunciato per primo a chiare note dal Vasari nei termini sopra riportati, è stato alla fine sostanzialmente confermato dagli studiosi moderni dopo una diatriba interminabile. Vivente il Vasari e per tutto il Seicento e il Settecento nessuno ha mai confutato l’accusa nei confronti del Pacioli, rincarata anzi da Egnazio Danti il quale nel 1583 ricordava Piero dal Borgo fra quelli che "che misero in prospectiva i corpi, se bene fra Luca gli stampò poi sotto suo nome". Sul finire del Settecento, tuttavia, il Nostro cominciò ad essere accanitamente difeso da scrittori e storici ecclesiastici con argomentazioni talvolta al limite del grottesco: qualcuno, seguito da molti altri, giunse ad affermare che il Vasari per infamare il “buon frate Luca” si sarebbe inventato un tale Piero, grande matematico e suo maestro, fidandosi delle chiacchiere di costui, dei suoi parenti e dei vecchi che l’avevano conosciuto!

È noto che l’Italia nella matematica dettò legge in tutta Europa dal basso Medioevo a tutto il Quattrocento, grazie ad una fioritura di maestri le cui opere però non furono mai stampate: per fare un esempio quelle di Leonardo Pisano (morto nel 1245) videro la luce a metà Ottocento quando il principe Baldassarre Boncompagni le pubblicò a proprie spese. La fama del Pacioli è dovuta al fatto che le sue opere furono le uniche ad essere stampate a cavallo fra i secoli XV e XVI: famose fra le tante la “Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità” (stampata a Venezia nel 1494 e ristampata, lui vivente, nel 1509 e ancora, dopo la sua morte nel 1523) e la “Divina proportione”. Il plagio fu riconosciuto nel 1954, sia pure in forma attenuata con la formula del “quasi plagio”, anche dal sommo matematico Francesco Severi: "Il quasi plagio del Pacioli non va giudicato -scrive- con la mentalità moderna, ché allora della proprietà letteraria non esisteva neppure il concetto".

In effetti i plagi veri e propri del Pacioli sono almeno due, e anche subdoli: fra l’altro -rammenta lo storico della matematica Ettore Picutti- aveva inserito nella “Summa”, nel 1494, 54 problemi del pittore conterraneo; visto che in 15 anni nessuno se ne era accorto, ne inserì altri 138 nella “Divina proportione”! Ma allora, cosa ha veramente fatto questo tanto celebre quanto discusso frate? "Pacioli -ci dice Matteo Martelli, presidente del Centro Studi Mario Pancrazi, che pubblica la rivista intitolata appunto “Il Pacioli”- è stato un divulgatore di cultura matematica, un “professore” impegnato nelle scuole di formazione attive nelle principali città della penisola nella seconda metà del secolo XV. Frate Luca ha insegnato a Perugia, a Roma, a Napoli, a Bologna, a Venezia, a Firenze, a Milano e ha fatto della divulgazione del sapere matematico l’impegno principale della sua vita". E certo il Frate del Borgo è una figura di primo piano sia nell’ambito della storia della matematica sia nel quadro della civiltà del Rinascimento. Ha costituito per oltre 50 anni l’anello di congiunzione tra la cultura dei dotti e quella dei tecnici e degli artisti dell’epoca. Come divulgatore della matematica e della geometria euclidea ha operato in collaborazione con artisti e intellettuali del suo tempo: non solo con Leonardo , ma anche con Leon Battista Alberti e Albrecht Dürer.

Più che il tasso di originalità del suo sapere matematico è necessario valutare il significato culturale della sua infaticabile opera di divulgazione, che ha portato avanti per decenni insegnando in tutta la penisola e in ogni tipo di scuola, da quelle d’abaco alle aule universitarie. Per non parlare della ragioneria di cui è a buon diritto il padre, avendo sintetizzato in maniera definitiva ed efficace il farraginoso sapere ragionieristico tramandato dal Medio Evo, con un ultimo grandissimo merito: quello di aver intuito il significato rivoluzionario della stampa a caratteri mobili che consentiva la massima diffusione del sapere matematico “pratico” ad uso principalmente dei mercanti e di quel ceto intermedio dei “senza lettere” che ignoravano il latino, ai quali era rivolto, fra l’altro, il trattato “De ludo schachorum”, sul gioco degli scacchi, interessante aspetto della sua poliedricità, creduto perduto per 500 anni e ritrovato nel 2006! Consapevole delle sue malefatte, aveva per così dire la coda di paglia perché nel 1508 ottenne dalla Repubblica di Venezia che fosse proibita ai tipografi veneti per almeno venti anni la stampa di opere sue! Dotato di un’esorbitante autostima, scorbutico (litigò anche col suo stesso ordine) e pieno di sé, il “buon frate” pubblicò certi iperbolici elogi che aveva ricevuto, e non esitò a chiedere al papa Alessandro VI Borgia il cappello cardinalizio offrendo in cambio prima 30, poi 40 mila ducati.