ATTILIO
Cronaca

Madonna del Parto, un mistero senza fine. Il capolavoro sospeso tra America e Russia

Gli americani vedono in quella gravidanza l’annuncio della scoperta del Nuovo Mondo, Tarkowskij riviveva invece il culto del suo Paese

Madonna del Parto, un mistero senza fine. Il capolavoro sospeso tra America e Russia

Gli americani vedono in quella gravidanza l’annuncio della scoperta del Nuovo Mondo, Tarkowskij riviveva invece il culto del suo Paese

Brilli

Come l’immagine della Madonna del parto di Piero della Francesca sia ricorsa così di frequente alla vista nell’imminenza della Natale, potrebbe sembrare un evento naturale, quasi fisiologico. Infatti è come se si accingesse a preannunciare la nascita del Figlio che porta vistosamente in grembo. Il riferimento è, con ogni evidenza, alla pubblicazione dei libri di due noti personaggi i quali, come è già stato opportunamente messo in risalto anche in questo giornale, recano in copertina l’immagine della Madonna pierfrancescana. Immagine che non solo occhieggia dalle vetrine e dai banconi delle librerie, ma che s’impone in interviste televisive che, almeno uno dei due autori, ha rilasciato in questi giorni. Questa singolare ricorrenza ha riempito d’orgoglio quanti, fra Arezzo e Sansepolcro, considerano Piero della Francesca il più alto richiamo culturale di questa terra, un richiamo che dalle sponde del primo Rinascimento parla al mondo intero.

Allo stesso tempo tuttavia, questa ricorrenza solleva due generi di riflessioni. La prima ha a che fare con la naturale fisicità che caratterizza la donna incinta dell’affresco di Piero. Già in un convegno internazionale sull’affresco di Monterchi, curato nel 1980 dallo storico dell’arte Thomas Martone, e quindi in una mostra del 1992 sull’iconografia della Madonna del Parto fra Medioevo e Rinascimento, se ne discuteva ampiamente. Piero è pressoché l’unico pittore che ha raffigurato con piena evidenza il grembo gravido della Madonna, eludendo le tante forme simboliche come colombe, stelle, raggi di luce, alle quali sono ricorsi i pittori prima e dopo di lui nel rappresentare la gravidanza di Maria. Piero viceversa sottolinea la fisicità naturale di tale stato, facendo in modo che Maria indichi con la mano la veste slacciata sul grembo la quale lascia a sua volta intravedere la candida sottoveste.

Gesto fisico e metafisico ad un tempo, perché addita la creatura salvifica che la donna porta in sé. La seconda riflessione, altrettanto suggestiva, è più originale perché invita a meditare sul carattere totemico delle Madonne di Piero. Kenneth Clark ha paragonato a suo tempo la Madonna del parto a "una scultura buddista nel suo calmo distacco". Con lui idealmente concordava Alberto Arbasino, il quale, in visita alle rovine dei templi di Angkor, in Cambogia, definiva il sorriso enigmatico e arcano, tutto interiore, delle esotiche figure scolpite in quel sito, "molto affine agli intensi ritegni della Madonne di Monterchi e di Brera, della Regina di Saba e della Duchessa di Urbino". Il sorriso delle arcaiche figure cambogiane può competere per intensità contenuta e potente, prosegue Arbasino, "con certe signore di Piero della Francesca, perfezione nella concentrazione stilizzata". Con l’elusività degli sguardi e i sorrisi enigmatici, le Madonne di Piero vengono proposte quindi come un tramite per rendere meno alieno alla sensibilità occidentale il fascino di una delle civiltà arcaiche più esotiche e misteriose del pianeta. E stupisce pertanto la capacità del linguaggio di Piero di attraversare l’oceano del tempo per fare emergere dall’oblio atolli semisommersi o siti soffocati da impenetrabili giungle e far cogliere l’essenza estatica di culture remote. In realtà, per anni una consolidata tradizione ha ravvisato nelle figure pierfrancescane una segreta consanguineità con un canone estetico che privilegia un consapevole primitivismo essenziale, stilizzato, iterativo.

Prima ancora del richiamo di Roberto Longhi alle terrecotte etrusche e soprattutto ai bassorilievi egizi, sul finire dell’Ottocento Roger Frye aveva indicato in Piero i medesimi ritmi lenti, maestosi, le medesime curve di sintesi, la stessa quasi esagerata semplificazione e schiettezza dei più alti esemplari scultorei dell’antichità. Questo arcaismo essenziale, questa contiguità fra remote civiltà pagane e tradizione cristiana conferisce alle immagini sacre pierfrancescane, e in particolare alla Madonna del parto, la qualità dell’idolo e del nume tutelare. Qualità, questa ultima, che si confà all’affresco che Piero avrebbe dipinto come omaggio alla madre, originaria di Monterchi. Ma al di là del dato biografico, le misteriose fessure dei suoi occhi ignorano il tempo presente per interrogare l’eternità del mito. Questo spiega la sua capacità di imporsi come icona assoluta e in sé compiuta, come un vero e proprio totem.

Non per caso Tarkowskij, in visita alla cappella cimiteriale che ospitava fino a non molti anni fa la Madonna di Monterchi, riviveva al suo cospetto il culto della grande madre Russia, mentre gli americani vedono tutt’oggi nella Madonna gravida colei che annuncia la scoperta del Nuovo Mondo che si stava profilando all’orizzonte in quel fatidico 12 ottobre 1492, lo stesso giorno in cui spirava il pittore di Sansepolcro. Quanto all’uso delle sue immagini, possiamo ricordare quanto diceva Ezra Pound, secondo il quale l’uomo ha tutto il diritto di accumulare tesori nel proprio repertorio di ricordi e di addobbare le pareti della mente con la memoria visiva dei dipinti di Velásquez e di Piero della Francesca.