Salvatore Mannino
Cronaca

Martina, giallo camere: muretti bassi tra i balconi. Difesa: "Poteva fuggire senza cadere"

L'avvocato Buricchi in albergo scavalca facilmente i divisori. Parti civili: "Proprio perché fattibile ha tentato di scavalcare per evitare la violenza ed è precipitata"

L'avvocato Buricchi scavalca il divisorio tra i balconi

Arezzo, 10 novembre 2018 - In una sola mano la difesa si gioca tutti gli assi: psichiatri, ingegneri, medici legali. Ecco dunque che il processo per Martina, della cui morte sono accusati i due ragazzi di Castiglion Fibocchi al cui tentativo di stupro lei avrebbe cercato di sfuggire, resta in equilibrio.

E la domanda a cui presto dovranno rispondere i giudici è ancora irrisolta: davvero la studentessa genovese cadde perdendo la presa sul balcone mentre provava a saltare da una camera d’albergo all’altra? Oppure, come gli imputati suggeriscono da sempre, anche se in aula non sono mai venuti, fu un suicidio per depressione, nell’alba livida del 3 agosto 2011, in un paradisi delle vacanze giovanili come Palma di Maiorca?

All’attivo gli avvocati Tiberio Baroni e Stefano Buricchi, che assistono Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, mettono almeno due punti. Il primo è l’acquisizione della testimonianza resa in indagini preliminari dall’unica testimone oculare del tragico volo, la cameriera Carmen Puga.

Lei non ha mai avuto dubbi: Martina si è suicidata, ha scavalcato e poi si è lasciata cadere. Buricchi, che l’ha vista a Palma in un sopralluogo alla fine di ottobre, l’avrebbe voluta in videoconferenza dalla Spagna. Il procuratore Roberto Rossi e la parte civile hanno preferito tagliar corto e chiedere loro per primi di fare entrare le carte nel processo. La difesa ha accettato. E ora il racconto della cameriera sarà fra quelli su cui i giudici decideranno.

Nel corso del sopralluogo, poi, Buricchi e il suo consulente tecnico, l’ingegner Rosario Carbè, accompagnati anche da Vanneschi, sono tornati nell’albergo della morte e hanno visionato la camera 609 con relativo terrazzino. Le immagini sono state mostrate ieri in aula: il divisorio fra i balconi delle stanze è solo parzialmente in vetro. Nell’ultimo pezzo, circa 40 centimetri, fino alla ringhiera, c’è solo un muretto alto più o meno un metro, facile da scavalcare.

Inevitabile la domanda: se era così semplice passare da una stanza all’altra, perchè Martina avrebbe dovuto scavalcare la ringhiera e proiettarsi nel vuoto, a rischio di cadere come poi sarebbe successo nella ricostruzione d’accusa?

Ma gli avvocati di parte civile, Luca Fanfani e Stefano Savi, con accanto il babbo e la mamma che non hanno mai mancato un’udienza, ne traggono una conseguenza completamente opposta: la ragazza avrebbe tentato la fuga perchè era facile e poi avrebbe perso l’equilibrio, lei che aveva problemi di vertigine, nella concitazione del momento.

In mattinata c’erano stati attimi di grande tensione durante la consulenza di Aldo D’Arco, lo pschiatra di parte della difesa Albertoni. Lui non ha dubbi: Martina soffriva di una sindrome depressiva mal diagnosticata e mal curata, che alternava momenti di guarigione apparente ad altri di ricaduta. Si sarebbe uccisa al culmine di una fase no, scatenata dall’essersi sentita abbandonata da Albertoni, con cui aveva simpatizzato.

Nel corso della testimonianza, l’avvocato Baroni si scontra a più riprese prima con Rossi e poi col presidente Angela Avila, che arriva fino a sospendere l’udienza. Anche di questi attriti è fatto un processo sul filo dei nervi.