Arezzo, 10 dicembre 2021 - Erano nell’hotel di Palma di Maiorca dove si consumò la tragedia di Martina Rossi, morta precipitando dal balcone per sfuggire a uno stupro di gruppo, e mentirono o tacerono al pm – secondo l’accusa – per cercare di coprire gli amici Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni. Adesso, con la condanna definitiva in Cassazione a tre anni di reclusione per tentata violenza sessuale di gruppo (il reato di morte come conseguenza di altro reato si è prescritto) Federico Basetti e Enrico D’Antonio di 30 e 29 anni di Castiglion Fibocchi hanno scelto la strada della messa alla prova.
Attività di volontariato sociale in cambio del lasciapassare al processo. Alla ripresa del dibattimento davanti al giudice di Genova, Lepri, hanno avanzato la richiesta sostenendo di essere pronti a condividere un programma con l’Ufficio penale per l’esecuzione della pena, a scrivere una lettera alla famiglia di Martina come atto di resipiscenza e a versare una somma in denaro che comunque – nei desideri dei coniugi Rossi – andrà per sostenere iniziative a tutela delle donne. Se il programma sarà accettato dal giudice, alla prossima udienza del 7 aprile e il percorso ritenuto congruo, il reato nei loro confronti sarà estinto.
Un po’ come accade per chi, la prima volta, viene sorpreso ubriaco alla guida: può scegliere di assistere per un periodo gli anziani o potare le siepi della città e saldare il conto con la giustizia senza entrare nel merito delle accuse. In particolare Basetti – secondo la procura di Genova – «ribadiva la dichiarazione mendace circa il fatto di avere percepito nell’immediatezza della discesa di Vanneschi dalla camera in cui era avvenuto il tragico evento la frase ’Martina si è buttata’, pur a fronte dell’inverosimiglianza di tale versione e di essersi portato nella hall dell’albergo a seguito dell’Albertoni, rifiutava di riferire l’esatto contenuto del colloquio» con Vanneschi e Albertoni.
Avvenne alle 3 di mattina dell’8 febbraio 2012, il giorno in cui doveva essere sentito dalla polizia giudiziaria e mentre i due attuali condannati erano appena tornati da Genova dove erano stati, a loro volta, ascoltati come testimoni. Basetti non volle nemmeno mai spiegare il perché di quella frase intercettata con Vanneschi, «non ho parlato per niente».
Accusa analoga per D’Antonio la cui deposizione fu zeppa di ’non ricordo’: la procura ne ha contati 47 nello stesso verbale. Amnesia totale anche sui fattacci di quella notte: l’amico non ricordò la versione di Vanneschi e Albertoni e nemmeno il significato della frase intercettata quando disse di aver «svignato» le domande degli investigatori. Un’amnesia totale pur «non essendo affetto da qualsivoglia patologia», chiosa l’imputazione.
Ancora in sospeso la richiesta di affidamento ai servizi sociali avanzata da Vanneschi e Albertoni per evitare il carcere: sarà il tribunale di Sorveglianza a decidere ma a Firenze (come altrove) la pandemia ha dilatato i tempi di fissazione delle udienze e si viaggia a distanza anche di un anno. Sul fronte civile invece la famiglia di Martina, assistita dagli avvocati Luca Fanfani e Stefano Savi, ha scritto una lettera di messa in mora, l’atto preliminare per la causa civile