
Martina Rossi
Arezzo, 30 giugno 2018 - Il rimpianto, il dolore, il rimorso, la paura esplodono nei due pianti incontrollati di Isabella e Alessia, le amiche che erano in vacanza con Martina, le sole testimoni (indirette) che si siano finora presentate al processo dell’alba tragica in cui lei volò giù dal balcone del sesto piano di un grande albergo di Palma di Maiorca. Il 3 agosto del 2011, un giorno che ancora semina traumi nella memoria delle ragazze che ne furono involontarie protagoniste.
La prima a sprofondare in una crisi di lacrime è Isabella Cambiaso, la più giovane. Due volte: quando il presidente Angela Avila la incalza sugli attimi concitati subito dopo la notizia della tragedia: «Non capisco perchè non vi siate precipitate fuori, dove lei agonizzava. Io avrei fatto così». La giovane balbetta: «Ho avuto un black-out al cervello, non ero più in me, mi muovevo come un automa. Dire che doveva essere la vacanza più bella della nostra vita. Invece non ho mai avuto una paura così. Ero paralizzata».
Il secondo pianto arriva alla fine di una testimonianza-maratona, quando Luca Fanfani, l’avvocato del padre Bruno Rossi, le mostra una foto di Martina al suolo, devastata dal volo. Isabella non regge, risponde alla meglio e poi si precipita fuori dell’aula fra i singhiozzi, coi genitori che l’aspettano nell’androne e tentano di calmarla a forza di abbracci.
E’ il prologo alla seconda scena di disperazione, nel pomeriggio, quando Alessia Nicastro, la terza della vacanza, racconta della sua crisi di disperazione di un mese dopo, a settembre 2011, quando ingerì una grossa quantità di pillole. Tentativo di suicidio? Più che altro, risponde lei, di attirare l’attenzione sul suo disagio. Non la capisce neppure Isabella, con la quale infatti i rapporti si interrompono. Così come sono sempre stati freddi quelli fra le due amiche di quelle ferie maledette e i genitori di Martina.
Il resto è il racconto che chi ha seguito il giallo conosce quasi a memoria, anche se per la prima volta porta in aula di riflesso la verità dei due imputati, Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi che mai hanno dato la disponibilità a farsi interrogare. E’ importante per quello, perchè dà il destro all’accusa di sostenere che non è credibile ed è dunque la prova indiretta del tentativo di stupro cui Martina avrebbe cercato di sfuggire cadendo giù e alla difesa di ribadire la tesi del suicidio.
Nella camera del primo piano, dunque, all’alba del 3 agosto, dopo la discoteca, si formano le coppie fra Isabella, Alessia, Federico Basetti ed Enrico D’Antonio, gli altri aretini. Alessandro, Luca eMartina, rimasti fuori, vanno nella stanza del sesto. E’ Alessandro che rompe la quiete del dopo-sesso nella stanza 151, bussando alla porta. Risponde Isabella ancora assonnata: «Vieni a riprenderla, Martina è impazzita, è impazzita. Ha urlato ‘ti amo, ti odio, finalmente l’orgasmo’ e poi mi ha aggredito».
Albertoni sconvolto e con gli occhi lucidi ha il collo arrossato, graffiato. Isabella lo segue nella hall quando dall’ascensore esce Luca: «E’ caduta, è caduta». La versione di Alessia differisce solo perchè lei non si ricorda dei vestiti di Martina riportati nella stanza 151 non si sa da chi e appoggiati sul portavalige.
«Lì per lì - dice - ho creduto ai ragazzi, ho pensato che davvero fosse un suicidio. Nel dicembre 2013 il colloquio col Pm di allora, Biagio Mazzeo, mi ha fatto venire i primi dubbi». Quei dubbi che forse solo il processo contribuirà a sciogliere.