TASSI
Cronaca

Meoni, l’equilibrista del deserto. Il coraggio di un uomo generoso diventato simbolo di solidarietà

Vent’anni fa la caduta mortale in Mauritania che spezzò il sogno del motociclista castiglionese di vincere per la terza volta la Parigi-Dakar. Oggi in suo nome tante iniziative per aiutare l’Africa.

Vent’anni fa la caduta mortale in Mauritania che spezzò il sogno del motociclista castiglionese di vincere per la terza volta la Parigi-Dakar. Oggi in suo nome tante iniziative per aiutare l’Africa.

Vent’anni fa la caduta mortale in Mauritania che spezzò il sogno del motociclista castiglionese di vincere per la terza volta la Parigi-Dakar. Oggi in suo nome tante iniziative per aiutare l’Africa.

Giuseppe

Sono certo che il suo spirito forte aleggia ancora fra quelle dune. A Kiffa, nel deserto della Mauritania, lungo lo sterrato dove Fabrizio Meoni ha trovato la morte vent’anni fa, durante la Dakar del 2005.

Quella era la sua corsa, il suo totem, l’ossessione di una vita spesa a rincorrere un sogno. Aveva solo 47 anni Fabrizio e stava vivendo da protagonista la sua ultima sfida alla Dakar. Era secondo in classifica e si batteva per il primato quando al chilometro 184 della tappa da Akar a Kiffa una caduta spezzò la sua rincorsa. Nell’impatto con il terreno si ruppe due vertebre cervicali e morì per arresto cardiaco, nonostante l’intervento dei soccorritori e il disperato tentativo di salvargli la vita.

La Dakar, con la sua scia di passione e di sangue, resta la più severa delle gare, il più ostico fra i rally-raid per auto e moto. Ma anche il più affascinante, con il rosso profondo dei tramonti, le tempeste di sabbia che sporcano all’improvviso il blu del cielo, il sole abbagliante che ti scava la pelle e fa sentire la sua potente carezza. Fabrizio l’aveva già vinta due volte la Dakar, nel 2001 e nel 2002, correndo come un equilibrista sul filo a cavallo della sua moto, la Ktm.

Quel doppio successo lo aveva collocato nella galleria dei miti anche per l’alta valenza umana del personaggio che, nonostante le vittorie e la grande popolarità, non aveva perso il forte legame con Castiglion Fiorentino e le radici toscane.

Un uomo semplice e generoso, che aveva tratto ispirazione dalla povertà incontrata nelle terre percorse dalla Dakar per mettere in piedi opere benefiche per la costruzione di pozzi e scuole in Africa. Un cammino poi ripreso dal figlio Gioele nel nome del padre e della sua grande umanità. È ostinato Fabrizio da Castiglion Fiorentino, classe 1957, e innamorato del suo mestiere di centauro.

Fin da ragazzo la passione per la moto è un come un demone, una febbre sottile che lo spinge verso la più spigolosa, ruvida ed ecologica specialità: l’enduro.

Moto potentissime ma sottili come scheletri, capaci di padroneggiare i terreni più impervi, di arrampicarsi dove solo la fantasia potrebbe spingersi. Ma anche di toccare punte di velocità da brivido sposando poesia e adrenalina.

La prima moto arriva nel 1974. È una Ancillotti da 50cm cubici, il primo vero passaporto per le gare regionali di enduro. Fabrizio non fa centro al primo colpo, la sua crescita è lenta e graduale, anche se il talento affiora tra il fango di quelle sfide lontane. Nel 1978 arriva la svolta che tramuta la moto da passione divorante a vera e propria scelta professionale. Meoni lascia definitivamente la facoltà di ingegneria a cui si era iscritto e si butta a capofitto nelle gare. Proprio in quell’anno vince il titolo della 125 junior con una Fantic Moto. Nel 1979 passa alla categoria senior con una Ancillotti 250 cm cubici ed entra nella nazionale di enduro.

Dopo il servizio militare riprende le competizioni nel 1981 con una Swm e apre con l’amico Paolo Acciai una officina di moto da cross ed enduro. Si chiama Steels come il cognome del socio tradotto in inglese. Dopo il titolo di campione italiano di enduro, nel 1988, noleggia una Ktm 350 e partecipa al suo primo rally: l’Incas rally in Perù dove arriva quarto. Ma è lì che scopre la vocazione per questo tipo di gare, dove i confini di tempo e di luogo sembrano indefiniti e la poesia del paesaggio va a braccetto con la tecnologia e le emozioni. Nel 1989 cade nel rally di Tunisia ma si impone in quello del Perù. Ora è uno specialista affermato, un giovane campione pronto per le sfide più estreme.

L’occasione arriva con la Parigi-Dakar del 1997 quando Fabrizio viene scelto come pilota ufficiale della Ktm. L’irruenza gli costa una caduta al secondo giorno di gara con frattura del polso e conseguente ritiro. Ma nella Dakar del 1998 Meoni arriva secondo dietro il fenomeno Peterhansel. Il grande sogno sembra spezzarsi nel 1999, quando la rottura del motore nel finale di gara lo precipita dal terzo al decimo posto.

Cominciano qui i dissapori e le tensioni con la Ktm. La casa austriaca taglia il budget e Meoni decide di chiudere il rapporto. Ma una serie di successi lo riporta in auge e Ktm lo richiama. È il preludio al suo momento magico, alla consacrazione di un nuovo asso. Fabrizio si impone in Tunisia ed Egitto e finalmente trionfa nella sua amatissima Dakar. Non una ma due volte: nel 2001 e nel 2002.

Il suo stile è diventato più essenziale, il coraggio raddoppiato e i lunghi allenamenti nel deserto lo trasformano in una sorta di Tuareg della moto, capace di leggere ogni increspatura della sabbia e ogni tempesta che si annuncia. Nel 2003 a 45 anni vince il rally di Tunisia e poi si imbarca per la Dakar, dove finisce terzo dietro i francesi Sainct e Despres che guidano Ktm monocilindriche più performanti della 950 Rally di Fabrizio.

Ma anche questa volta Meoni trova modo di scrivere un pezzo della sua piccola leggenda. Dopo una caduta rovinosa nella quattordicesima tappa, pur ferito e dolorante, arriva primo al traguardo nella frazione successiva, confermando la sua tempra di lottatore indomito.

È lo stesso carattere fiero e combattivo che lo sorregge nella sfida di addio alla Dakar nel 2005. Un’ultima occasione di gloria che si spezza nel deserto della Mauritania, quando Fabrizio lascia la sua vita fra quelle sabbie eterne. Luoghi in tutto simili a quelli percorsi con il figlio Gioele nelle vesti di giovane apprendista al seguito.

Momenti che il figlio ricorda come prove generali di una Dakar da correre insieme, nel nome della stessa passione. E al raid africano Gioele approda davvero diciannove anni dopo la morte del padre nel 2024. Chiude quarantasettesimo (primo degli italiani) ma la classifica ha un valore relativo. Perché in quei luoghi ritrova il grande spirito del padre e decide una volta di più di continuare l’impegno umanitario intrapreso da Fabrizio.

Ora la statua in bronzo di Meoni, inaugurata nel 2017 dal sindaco Mario Agnelli, campeggia in una rotonda sulla Strada regionale 71 di Castiglion Fiorentino, mentre in Africa il ricordo del re della Dakar è più vivo che mai: Fabrizio con la sua associazione “Solidarietà in buone mani” è riuscito a costruire una scuola per i bambini del Senegal. E oggi nel suo nome si rinnova l’impegno sociale della Fondazione Fabrizio Meoni Onlus che opera in Africa.

Il figlio Gioele, oltre a proseguire l’opera del padre, è il cofondatore di una startup che ricerca e sviluppa soluzioni per la tecnologia e la sicurezza negli sport off-road. E il grande Fabrizio veglia su tutto come uno spirito benigno.