Arezzo, 13 maggio 2018 - La prima volta, quarant’anni fa, erano dieci, al massimo quindici banchini, con ragazzi che adesso sono sulla cinquantina. Era il primo ottobre del 1978 e il nome di Calcit, che adesso è sinonimo di lotta anticancro, era una sigla sconosciuta a tutti o quasi, nata da tre mesi appena, il 21 giugno, nella vecchia sede dell’associazione commercianti di via Vittorio Veneto, nel palazzo Sacchi.
Tra i fondatori il padre storico Gianfranco Barulli, l’attuale presidente Giancarlo Sassoli e un manipolo di commercianti del centro, fra i quali Fabrizio Baquè e l’ottico Aldo Bardelli, più l’imprenditore Nedo Cuccoli. L’idea l’aveva data l’odissea contro il tumore del cognato di Barulli e fratello di Sassoli, costretto a volare fino a Parigi per curarsi perchè le apparecchiature del vecchio ospedale di Santa Maria sopra i Ponti erano quello che erano, adeguate a una struttura di provincia, non certo alle ultime novità della battaglia contro il più oscuro dei mali.
Lui non ce la fece, ma lasciò detto a parenti e amici che avrebbe voluto si facesse qualcosa di importante in sua memoria. Il Calcit appunto, comitato autonomo per la lotta contro i tumori. L’iniziativa era già di per sè rivoluzionaria, un gruppo di privati che si mette insieme per supplire e ovviare ai mezzi insufficienti della sanità pubblica. Ma il progetto più visionario, e anche più innovativo, quello che avrebbe cambiato la storia di una città e delle sue generazioni più giovani, lo portò un allora giovane disegnatore e creativo ante litteram, Franco Palazzini: il mercatino dei ragazzi, bambini e adolescenti che si mettono dietro un banco di cianfrusaglie raccattate dentro le cantine e le soffitte per raccogliere soldi destinati alla causa.
Fu subito o quasi un successo straordinario, coi giornali (non solo locali) e le Tv che rilanciavano ovunque le immagini e il senso di questa iniziazione dei ragazzi alla responsabilità civica, alla lotta per il bene comune. Col tempo il mercatino trovò data stabile nella seconda domenica di maggio, festa della mamma, e l’originaria piazza San Iacopo si allargò progressivamente verso l’Eden e la stazione. Cosa sia diventato adesso, ma ormai da molti anni a questa parte, è facile verificarlo nella pagina a fianco: cinquecento banchini o giù di lì per almeno un migliaio di partecipanti, due o tre per postazione. Il mondo, almeno il piccolo mondo antico della lotta al tumore, salvato dai ragazzini, per dirla con Elsa Morante.
Col mercatino si è fatto grande, anzi un gigante, anche il Calcit. Basti qualche cifra: in quarant’anni la stima è che siano stati raccolti trenta milioni di euro da destinare ai macchinari oncologici e affini. Quindici sono arrivati dai mercatini, il resto dalle donazioni degli aretini. La prima Tac e la prima Pet le ha portate in dote il comitato, grazie anche al lavoro di altri collaboratori storici che ormai non ci sono più: il maestro Enrico Ricci, instancabile propagandista nelle scuole, o il segretario Otello Bracci.
Non è per caso, del resto, che si riesce a far venire ad Arezzo due presidenti della repubblica: il popolarissimo Sandro Pertini, che il 24 maggio 1984 posa la prima pietra del centro oncologico al Santa Maria sopra i Ponti, il più compassato Oscar Luigi Scalfaro che il 25 febbraio 1995 benedice la costruzione del nuovo centro, quello del San Donato. Nel mezzo c’è anche la visita a un Papa, Giovanni Paolo II, che nel novembre 1985, riceve una delegazione del Calcit, sempre fra grandi sventolii di bandiere gialle del comitato in mano ai più piccoli.
Quante migliaia di ragazzi aretini siano nel frattempo passati per l’iniziazione all’età adulta dei banchini è più difficile da calcolare. Di certo, il mercatino padre ha generato molti figli: il bis di ottobre in piazza Grande, gli eventi di Ceciliano, via Fiorentina, Tortaia, Pescaiola, Palaffari (per le scuole, al coperto) e via enumerando. Una storia di successo, un piccolo, grande miracolo italiano.