Il cuore in gola per quarantotto ore. Infinite, come l’angoscia che spezza il fiato davanti ai bombardamenti che sventrano palazzi e vite nel nuovo "fuoco" del Medioriente. Libano sotto attacco, libanesi in fuga. "Mia madre ha 80 anni ed è arrivata oggi a Roma dopo un viaggio rocambolesco che ho seguito in diretta". L’abbraccio dopo la paura: il ritrovarsi vicini, dopo giorni di terrore per l’escalation del conflitto. Emad Shuman, artista e cantante dell’Orchestra Multietnica aretina, ha Beirut nel cuore insieme alla famiglia che nella città sotto attacco ha lasciato: "Mio fratello con la moglie e i loro figli, oltre a numerosi cugini", dice con un filo di voce mentre la madre cerca riposo nella sua casa, dopo un lungo viaggio e il rischio di non poter partire, fuggire dall’inferno della guerra. "Lei era bambina nel 1948 e si ricorda le ingerenze di Israele sia con la Palestina che nei confronti del nostro Paese. Lei ha passaporto libanese e britannico e solo così ha potuto imbarcarsi su un aereo prenotato dal governo britannico per riportare in patria tutti i cittadini che vivono e lavorano in Libano. Non è stato facile, prima lo scalo a Birmingham la sosta da un’amica di famiglia che è andata a prenderla all’aeroporto e l’ha ospitata per la notte. E infine ieri il volo per Roma". E l’abbraccio con Emad. Ora sono al sicuro, insieme.
Ma il pensiero resta fisso alla città dove sono nati. Le notizie scivolano sui social, rimbalzano in tv e nel mare magnum di internet "alimentando l’angoscia. Provo tanta frustrazione e preoccupazione perchè la storia non ci ha insegnato niente. Il 7 ottobre Hamas ha reagito in maniera assolutamente da condannare, ma lo ha fatto rispetto alle azioni di prevaricazione e violenza del governo israeliano nei confronti della Palestina: Gaza è la città più bombardata nell’intera regione e ora si contano 44mila vittime dei bombardamenti. Come possiamo andare avanti così?".
Domande impastate con gli snodi della storia. Emad conosce la sua terra e quella parte di Medioriente martoriata da un conflitto infinito. E rilancia ciò che, a suo avviso, è il solo modo per fermarsi e salvare vite: "La violenza porta solo violenza. Trovo ipocrita l’atteggiamento dei governi dell’Occidente che dicono di lavorare per la pace e poi mandano le armi". La via, l’unica ancora possibile, è quella della costruzione della pace. Ma è un cammino faticoso che richiede volontà e impegno. Lui sta facendo la sua parte, condivisa con gli artisti dell’Orchestra Multietnica: "Sono molto contento di farne parte e dare il mio contributo alla diffusione della cultura della pace. Noi andiamo nelle scuole e facciamo concerti non solo in Italia per portare il nostro messaggio".
Un modello che radica, piano piano, ma ha radici robuste, che resistono. Con il maestro Enrico Fink, ebreo, si confronta e condivide lo stesso impegno: "A volte la vediamo in modo diverso ma siamo entrambi impegnati dalla stessa parte e nello stesso progetto di pace".
Amici, nonostante le sofferenze reciproche. Mai più nemici.