Salvatore Mannino
Cronaca

Moglie e amica volevano far uccidere il marito: annullate le condanne, si torna in appello

Avevano ingaggiato un pugile ma lui andò alla polizia. Ora la Cassazione azzera la sentenza a 10 e 8 anni: nessun tentativo, l'omicidio fu solo pensato o studiato

La polizia ha condotto le indagini dopo la rapina

La polizia ha condotto le indagini dopo la rapina

Arezzo, 27 settembre 2018 - Contrordine: le due Signore Omicidi di Gragnone non sono più tali. O meglio il delitto lo avevano pensato e magari anche studiato, ma non arrivarono mai a quello che la legge qualifica come tentativo. E’ per questo che la corte di Cassazione, prima sezione, annulla con rinvio la condanna (pesantissima) a 10 e 8 anni inflitta in primo grado e confermata in appello per Simona Bianchi, la moglie della vittima mancata, e Gabriella Paci, l’inquilina che (lo ha confessato lei) fece da intermediaria per ingaggiare il pugile cui sarebbe spettato il compito più ingrato: uccidere con un solo cazzotto ben assestato.

Si rifarà, dunque, il processo di secondo grado, dinanzi a un’altra sezione della corte d’appello. E col principio di diritto dettato dai giudici del Palazzaccio, che accoglie le argomentazioni difensive dell’avvocato Antonio Bonacci per conto della moglie, è più che probabile una sentenza di assoluzione.

La storia è una delle più strampalate che si siano sentite in questa città dove la cronaca prende spesso più i colori dell’humour nero che quelli della tragedia. Gabriella Paci, l’inquilina che non pagava l’affitto da due anni, viene arrestata in flagranza nella notte del 18 ottobre 2011. Da settimane tormentava il pugile Alessandro Rauti, buon passato agonistico, agganciato come amico della figlia: «Mi devi ammazzare una persona».

Lui all’inizio resta incredulo, come davanti a uno scherzo, ma di fronte all’insistenza di lei si rivolge a un amico della squadra mobile: aiutatemi a uscire da questo impiccio. I poliziotti suggeriscono di dare corda e si arriva così a sapere che la vittima designata è Giovanni Bozzo, grande famiglia aretina, proprietario della Fattoria di Gragnone trasformata in relais di lusso.

L’incontro decisivo viene fissato davanti al Bar Menchetti, Rauti ci va imbottito di microfoni, con la Mobile che ascolta in diretta la conversazione. E’ il pugile, come gli suggeriscono gli investigatori, a sollecitare il pagamento dell’ingaggio da assassino a contratto. Lei, dopo aver spiegato come deve avvenire l’agguato (un cazzotto in testa sulla strada sterrata della fattoria e se non basta è pronta a finire Bozzo con un coltello) tira fuori i 5mila euro.

A quel punto entrano in azione i poliziotti con le manette: per loro il reato di tentato omicidio è già consumato. Gabriella Paci dà una versione confusa: volevo farlo uccidere per non pagare l’affitto. Ma dopo una settimana ci ripensa e chiama in causa la moglie: è lei la vera mandante, è lei che mi ha dato i soldi. Il processo col rito abbreviato conferma tutto, arriva la pena stangata del Gup Anna Maria Lo Prete. Idem in appello.

Nel frattempo, però, è subentrato come difensore della moglie Bonacci, che prepara il ricorso in Cassazione: visto che il pugile era d’accordo con la polizia, non si sono mai concretizzati gli atti idonei ad uccidere e dunque non c’è neppure il tentativo. Solo un’intesa fra le due Signore Omicidi che è rimasto sulla carta per la scelta del pugile di rivolgersi alla Mobile. La suprema corte gli dà ragione. Si riparte daccapo e se sarà assoluzione farà clamore.