Salvatore Mannino
Cronaca

Moretti, il dado è tratto: per padre e figlio è il giorno dei patteggiamenti

Oggi nell’aula del Gup. Andrea (che sta pagando 8 milioni al fisco) si accorda per tre anni di pena, il Re del vino Antonio poco sotto

Antonio Moretti arriva in tribunale

Arezzo, 29 ottobre 2021 - Il caso Moretti, una delle inchieste più clamorose degli ultimi anni, che ha coinvolto una delle grandi dynasty aretine, quella dei Moretti, re del vino e della moda, finisce qui. Nell’aula del Gup Lucia Faltoni in cui stamani il capostipite Antonio, dalla cui tenuta Setteponti esce uno dei rossi più pregiati del mondo, l’Oreno, e il figlio Andrea, imprenditore attivissimo nel settore della moda (sua la Pull Love, ma in passato altri marchi famosi come Arfango) patteggeranno la pena per associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta, all’autoriciclaggio e a una lunga serie di reati fiscali.

La pena per Andrea è già definita (tre anni), quella per il padre Antonio deve essere ancora limata negli ultimi particolari, ma dovrebbe aggirarsi fra i due anni e 8 mesi e i due anni e 10, leggermente inferiore perchè ha sulle spalle qualche capo di imputazione in meno.

Patteggiano con loro anche i più stretti collaboratori di famiglia, Marcello Innocenti e Paolo Farsetti, i due che avrebbero messo mano, insieme ai Moretti, alla complessa architettura di società, quasi un tourbillon, dalla quale il Pm Marco Dioni e la Finanza si sono districati muovendo prima l’accusa di autoriciclaggio, per la vertiginosa cifra di 25 milioni, e poi di bancarotta. Il passaggio, quest’ultimo, che si è rivelato decisivo per indurre padre e figlio a non rischiare: meglio un patteggiamento oggi che consente comunque di evitare il carcere (si va verso l’affido in prova ai servizi sociali) che una condanna pesante domani.

Non si farà mai dunque un pubblico processo su un’indagine che debuttò col botto, il 23 novembre 2018, quando Antonio e Andrea furono svegliati dai finanzieri che esibivano l’ordine di custodia cautelare per l’uno e per l’altro: arresti domiciliari che poi durarono mesi, per Antonio a Castiglion Fibocchi, nella tenuta Setteponti appunto, per Andrea nella grande proprietà di Terranuova.

In più, sempre firmato dal Gip Piergiorgio Ponticelli, il decreto di sequestro per i 25 milioni ricordati sopra: un impero scompaginato, le tenute e le aziende di famiglia finite nelle mani di amministratori giudiziari. Una rivoluzione che costò l’interdizione anche ad altri componenti della Dynasty, figli, mogli, sorelle, zie, poi usciti indenni, e che scatenò uno choc nell’Arezzo che conta.

Per ripercorrere tutte le tappe ci vorrebbe un’enciclopedia, dall’interrogatorio in cui Antonio tenne testa all’accusa per ore alla restituzione di una parte dei sequestri perchè eccedevano la somma fissata, basterà dire che la mossa chiave si è rivelata nel giugno 2020 quella di Dioni che all’originaria contestazione dell’autoriciclaggio, dalla quale gli avvocati ritenevano di potersi difendere, aggiunse la bancarotta, difficile da aggirare visti i fallimenti a ripetizione delle società che nascevano e morivano lasciando dietro pesanti strascichi e debiti col fisco.

Il primo a muoversi è stato appunto Andrea, il più indebitato con l’erario, che già a maggio ha avanzato un’istanza di patteggiamento nella quale era contenuto anche l’accordo con l’agenzia delle entrate: 8 milioni e cento da restituire a saldo e stralcio, di cui 4,6 subito, garantiti da una delle grandi proprietà sotto sequestro, il Palazzo Bianca Cappello di Firenze, una delle meraviglie di Oltrarno, appartenuta all’amante cinquecentesca di un granduca.

Intesa mediata dai difensori Niki Rappuoli e Roberto Cordeiro Guerra, che ha indotto il Pm Dioni, uno che come nel caso Fort Knox guarda al sodo, cioè ai «piccioli» che tornano allo stato, a dare il proprio consenso.

Poi è toccato al padre Antonio, i cui legali Mauro Messeri e Stefano Campanello hanno raggiunto un accordo molto meno eclatante dal punto di vista economico (alcune centinaia di migliaia di euro). Stamani in aula gli ultimi ritocchi, con alcune curatele fallimentari coinvolte. Fino all’ultimo Antonio ha cercato di evitare l’associazione a delinquere, ma alla fine si è dovuto arrendere.

Una «pace» che ha inevitabilmente coinvolto anche i collaboratori, Innocenti, difeso anche lui da Messeri e Campanelli, e Farsetti, che invece è assistito da Enrico De Martino e Francesca Arcangioli. Il dado è tratto, padre e figlio possono ricominciare daccapo. Ammaccati, è vero, ma ancora in piedi