Salvatore
Mannino
Nella singolare battaglia della memoria che si è aperta a Cortona sull’intitolazione di una scuola a David Sassoli, il presidente del parlamento europeo scomparso a gennaio, proposta dal Pd, con tanto di intervento del segretario nazionale Enrico Letta (eletto deputato proprio nel collegio della Valdichiana a settembre), e rigettata dal sindaco di centrodestra Luciano Meoni, lui è sicuramente il protagonista più involontario. Se non altro per una questione anagrafica: è morto da oltre quarant’anni, e appartiene a un altro secolo, anzi ad altri due: il XIX della nascita nel 1897 e il XX della morte, nel 1981. Eppure, la contesa odonomastica almeno un merito ce l’ha: quello di far riemergere dalle nebbie dell’oblio in cui è stato confinato dalla polvere del tempo, una prestigiosa figura di aristocratico e intellettuale cui attualmente è intestato il plesso d’istruzione che il Pd vorrebbe dedicare a Sassoli, anche se i democrats precisano di non volerlo cancellare dal nome complessivo, Umberto Morra di Lavriano, che cortonese di origine non era ma che a Cortona visse per gran parte della sua vita, nella villa di Metelliano che apparteneva alla sua nobile famiglia e che solo pochi anni fa fu messa in vendita per una cifra da sproposito. E da lì, dalla villa, è passato per oltre mezzo secolo il meglio della cultura antifascista, liberalsocialista ma non solo.
Morra di Lavriano una delle grandi figure culturali del ’900 italiano, nasce a Firenze. Il padre Roberto, generale, era reduce dall’aver comandato la sanguinosa repressione dei Fasci Siciliani e ben presto sarebbe diventato ambasciatore a San Pietroburgo. A tenerne a battesimo il rampollo sono due padrini d’eccezione come il Re Umberto I, dal quale prende il nome, e la Regina Margherita. In Russia il piccolo contrae la tubercolosi ossea e forse sarà il difetto fisico che gli lascia a segnarne il carattere, insieme riservato e coraggioso. Il suo debutto politico-culturale è precoce, proprio a Cortona, dove nel 1915, a soli 18 anni, è tra i fondatori e gli animatori di un foglio interventista, "La Fiaccola", di schietta impronta nazionalista e di destra, che lo vede fianco a fianco con figure come Girolamo Ristori e Giuseppe Papini che saranno tra i fiancheggiatori e i militanti del fascismo aretino. A Umberto, invece, la concreta esperienza della Grande Guerra, che lo vede coerentemente volontario, lascia un’impressione così profonda da indurlo a svoltare decisamente verso un liberalismo di schietto orientamento progressista. Lo ritroviamo infatti, nei primi anni ’20, tra i collaboratori di Piero Gobetti, il grande intellettuale liberale destinato a soccombere ben presto per i postumi delle bastonature fasciste. Morra scrive di letteratura sul gobettiano "Baretti", dove accusa apertamente l’Avanguardia di Marinetti & C e la "Voce" di Prezzolini di aver fomentato un clima di nazionalismo e bellicismo irrespirabile, e sull’ancor più gobettiana "Rivoluzione Liberale", che non disdegna di guardare con simpatia al comunismo dell’Ordine Nuovo gramsciano.
Intanto, la villa di Cortona comincia ad essere la meta della "Meglio gioventù" culturale dell’epoca. A Metelliano, ad esempio, nel 1926 approda il ventenne Alberto Moravia che lì scrive gran parte del suo primo e miglior romanzo, "Gli indifferenti". E non è il solo, perchè negli anni ’30 passeranno da lì figure del valore di Carlo Levi, Norberto Bobbio, Guido Calogero, padre del liberalsocialismo, Guido Capitini, teorico della Non Violenza, Pietro Pancrazi, pure lui cortonese, celebre critico letterario che ha villa al Sodo, poco sopra Camucia, Guglielmo Alberti di Lamarmora, discendente per parte di padre dell’umanista rinascimentale e per quella di madre del generale, ministro e presidente del consiglio risorgimentale, Luigi Salvatorelli, storico e ultimo direttore della "Stampa" antifascista di Frassati. Morra di Lavriano, forte del suo prestigio di intellettuale militante, si lega anche a Bernard Berenson, il più celebre degli esteti espatriati dall’America e ne frequenta la Villa "I Tatti", sulle colline di Firenze. L’impronta d’arte che gliene deriva gli serve per arredare la villa cortonese, in particolare lo studiolo stracolmo di libri, con i quadri dei migliori pittori contemporanei, a cominciare da Levi e dal giovane Renato Guttuso, che liberale non è ma comunista.
A Metelliano, in questa ristretta elite, si respira un clima di ovattata ma ferma opposizione al Regime. Nel 1934 lo scandalo che scuote Cortona. Morra di Lavriano si presenta a votare nelle elezioni politiche in cui si può dire solo sì o no, a scrutinio palese, alla lista di candidati fascisti. Lui, senza esitare, chiede la scheda del No. "Conte, lei si sta sbagliando", cerca di fermarlo un gerarchetto locale. "No - replica secco - siete voi che vi sbagliate". Finisce tutto sul tavolo del Federale aretino Giannino Romualdi e su quello del segretario del Pnf Starace, oltre che nel fascicolo Morra di Lavriano del Casellario politico centrale. L’opposizione sfuma ormai nella cospirazione. Nel 1939 sarà Guttuso a ritrarre in un disegno una riunione clandestina a Metelliano in cui ci sono Bobbio, Calogero, Capitini e altri.
Passata la "Bufera", come l’ha chiamata un altro gobettiano, Eugenio Montale, della guerra, Morra di Lavriano vota Repubblica nel Referendum del 1946 e si iscrive al Partito d’Azione ma non abbandonerà mai la sua ispirazione liberale. L’attività pubblicistica è intensa. Collabora alla "Nuova Europa" di Salvatorelli, al "Ponte" di Calamandrei, al "Mondo" di Pannunzio, alla "Fiera Letteraria", a "Critica Liberale". Comincia anche a scrivere una biografia di Gobetti che sarà pubblicata postuma, nel 1984. La morte lo coglie a 84 anni nella villa di Metelliano che per lui, aristocratico di origine piemontese, è stata la Casa della Vita, per dirla con Mario Praz. Peccato che i 40 anni trascorsi ne abbiano appannato il ricordo non diciamo nel grande pubblico ma persino in quell’elite intellettuale liberalprogressista che era stata la sua. Questa polemica della memoria serve perlomeno a rinfrescarne la figura.