Arezzo, 22 maggio 2020 - Un milione di contatti per la notizia postata sul profilo Facebook della Nazione della morte di Jacopo Bacis come possibile conseguenza di un videogioco fatale, nel quale il bimbo di 8 anni, figlio dell’ex giocatore di Arezzo e Fiorentina, potrebbe aver confuso mondo reale della sua cameretta e mondo virtuale di «Fortnite». Sì, è questo, come il nostro giornale è in grado di anticipare, il game che ancora scorreva sul tablet ritrovato dopo la tragedia di sabato sera nella stanza del piccolo.
E il nome dice già tutto. Si tratta infatti di un videogioco popolarissimo fra i più giovani, uno strumento che è tanto gettonato fra i ragazzini quando fonte di preoccupazione per le famiglie, nella quali si teme lo sviluppo di una sorta di dipendenza dei figli e anche di un’assuefazione a forme pesanti di combattimenti e missioni di salvataggio, con balzi spettacolari da 007, anche se senza l’ironia che non manca mai nei film dell’agente segreto più famoso del mondo.
E’ questo probabilmente che spiega l’altissimo numero di contatti del post, tre volte la popolazione della provincia, il che evidentemente significa che il nostro appunto Facebook sta viaggiando in tutta Italia, con i genitori che se lo rimbalzano l’un l’altro in una sorta di infinita catena di Sant’Antonio della paura e dell’allarme: è successo a lui, non vorremmo che succedesse a qualcun altro.
Non c’è tuttavia alcun nesso causale certo fra la caduta di Jacopo e il videogioco della Epic Games. E’ la principale pista investigativa sulla quale si muovono gli inquirenti (anche se allo stato attuale non c’è un reato da perseguire, solo un fascicolo conoscitivo aperto dal Pm Roberto Rossi e delegato alla Mobile), ma che il tragico volo sia avvenuto dopo l’utilizzo di «Fortnite» non significa necessariamente che sia avvenuto in conseguenza del game.
Per stabilire un rapporto di causa-effetto, che comunque resterà sempre probabilistico e non certo, occorreranno altri esami dell’Ipad di Jacopo, che verranno affidati a un esperto del settore. C’è da capire ad esempio a che punto fosse la sequenza del gioco, se cioè Jacopo fosse arrivato in una fase tale da indurlo, dopo aver perso il contatto con la realtà vera, a scavalcare la finestra.
In un certo senso, anche Jacopo è stato una vittima, forse l’ultima, del lockdown e del clima cupo, pesante, da arresti domiciliari, particolarmente duro da sopportare per i più piccoli, dell’Italia (e di Arezzo) rinchiusa in casa. Un’atmosfera nella quale i videogiochi sono diventati per i bambini, privi di contatti fisici con i coetanei, a scuola o fuori, una delle poche forme di socialità, per quanto potenzialmente deviata.
Persino le famiglie, come testimoniano alcune mamme, si sono dovute adeguare, accettando i games di ruolo come uno sfogo dei figli tappati dentro le mura delle loro abitazioni, con i videogiochi quali valvola di contatto con gli amici dai quali erano tagliati fuori.
«Fortnite» e gli altri simili, gratuiti e scaricabili on line ma con alcuni pezzi a pagamento, che diventano l’oscuro oggetto del desiderio dei bimbi, si sono trasformati così in compagni difficili da sostituire, con i gettoni di gioco che sostituiscno la classica paghetta settimanale delle famiglie. Inutile demonizzare, l’importante è capire. Quello appunto che stanno tentando di fare il Pm Rossi e la Mobile. Almeno perchè non succeda ancora