"Ciao Marco, ragazzo buono, è stato un piacere averti conosciuto": Cristina lascia un saluto sulla bacheca infinita di Facebook ed è uno dei tanti addii a chi è morto per la sola colpa di lavorare. Lavorare in un cantiere di Genova, la costruzione di un memoriale per altre vittime, quelle del Ponte Morandi, tra cui due fidanzati aretini, scivolati con la macchina sei anni fa, nella voragine del crollo. Quelle vittime aspettano ancora un perchè, a Genova è in corso il processo che dovrebbe scriverla.
Per Marco Ricci, la strada della verità comincia oggi. Oggi il Pm Giuseppe Longo dovrebbe disporre l’autopsia e se non sarà oggi è una tappa attesa comunque per le prossime ore. E l’autopsia, si sa, è il passaggio che comporta inevitabilmente la partenza degli avvisi di garanzia. Una tutela prima di tutto proprio per gli indagati, potendo a loro volta partecipare all’esame medico legale con un loro consulente. In genere in queste vicende i primi ad essere iscritti sono i titolari dell’impresa per la quale un operaio lavori e il responsabile della sicurezza: vedremo se anche stavolta questa linea, quasi inevitabile, sarà rispettata.
Dopo la tragedia si sono susseguite le ispezioni della Asl, attraverso l’ufficio Prevenzione e Sicurezza negli ambienti di lavoro. Marco era un dipendente dell’azienda Li.Fe di Sansepolcro, specializzata proprio nella carpenteria, la lavorazione del ferro. Ma non finiscono qui i risvolti aretini di questa vicenda. Perché da quanto è stato finora ricostruito nelle prime indagini a Genova la Li.Fe aveva ricevuto il subappalto da un raggruppamento di imprese vincitore del bando: ne fanno parte due ditte, una dlele quali è un’impresa di costruzioni con sede proprio ad Arezzo, in pieno centro. Avevano vinto bene il bando, partendo da una base d’asta di 2 milioni e 400 mila euro e offrendo un ribasso del 21%. In un secondo momento era arrivato il subappalto alla Li.Fe. Intanto le indagini stanno cercando di capire cosa sia davvero successo quel giorno: Marco stava camminando all’indietro, impegnato a spostare una griglia di ferro. Da quanto finora è emerso ha poggiato il piede su una copertura di legno sopra il vano ascensore, che avrebbe ceduto, provocandone la caduta per oltre dieci metri.
Un volo nel quale ha avuto probabilmente alcuni secondi: per capire, avere paura, tentare disperatamente di salvarsi. Prima della fine. Era a Genova solo da pochi giorni, ora gli amici lo aspettano per il funerale, dopo l’autopsia. Ieri giocava la sua Roma: sul suo profilo Facebook ancora campeggia una foto gigante di Dybala, il fantasista giallorosso. "Ci vediamo domenica" c’è scritto grande. Emozioni, passioni che quella caduta ha spento per sempre.