
Tracchi: "Non si limitano soltanto all’agricoltura, si estendono anche alla manifattura e ai servizi"
di Gaia Papi
AREZZO
"Ogni giorno è come un fronte di guerra. Andare a lavorare significa rischiare di non tornare più a casa". Con queste parole dure ma lucidissime Alessandro Tracchi, segretario provinciale della Cgil, commenta la drammatica situazione della sicurezza sul lavoro in provincia, in occasione della Giornata internazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro.
Segretario Tracchi, qual è oggi la situazione della sicurezza sul lavoro nella nostra provincia?
"Purtroppo è drammatica. Ogni giorno è come essere su un fronte di guerra: andare a lavorare significa rischiare di non tornare più a casa. Nel 2023, in Italia, abbiamo registrato 1.147 morti sul lavoro. In Toscana sono stati 57, di cui quattro nella sola provincia di Arezzo. E parliamo di dati ufficiali, che non considerano tutto il sommerso e il lavoro nero".
Anche il numero degli infortuni sul lavoro è molto elevato.
"Sì. In Toscana, nel 2023, ci sono stati oltre 47.000 infortuni registrati, di cui più di 2.200 nella nostra provincia. Oltre il 30% delle aziende controllate viene sanzionato per violazioni delle norme sulla sicurezza, e in alcuni settori si supera addirittura il 50%. Questo significa che un’azienda su due, tra quelle ispezionate, presenta gravi irregolarità".
Come si spiega questa situazione così allarmante?
"Uno dei problemi principali è culturale. Ancora oggi la sicurezza viene vista da troppe aziende come un costo, non come un investimento. È inaccettabile. La formazione deve essere continua e integrata nella settimana lavorativa, non una formalità burocratica da sbrigare una volta ogni tanto".
Non ci sono abbastanza controlli?
"No, purtroppo. Il personale ispettivo è insufficiente, specialmente in una provincia vasta e frammentata come quella di Arezzo. E questo, inevitabilmente, rende più difficile far rispettare le regole".
Il problema riguarda solo gli infortuni o c’è dell’altro?
"Ci preoccupano molto anche le malattie professionali. Nel 2023, in provincia di Arezzo, sono state oltre 900 le denunce di malattia professionale. In Toscana più di 10mila. Ma il numero reale è certamente più alto: molti lavoratori hanno paura di denunciare, temono ripercussioni e isolamento".
Un altro tema su cui il sindacato insiste è quello del caporalato. Qual è la situazione?
"Il caporalato non riguarda solo l’agricoltura. Quando l’unica regola è abbassare i costi a tutti i costi, l’illegalità si espande. Ad Arezzo emergono casi anche nel manifatturiero e nei servizi. Serve una vigilanza costante, concreta e una lotta serrata contro il lavoro nero".
Cosa servirebbe, concretamente, per invertire questa tendenza?
"Formazione obbligatoria e continua, investimenti veri in sicurezza, innovazione tecnologica che serva a proteggere e non a sostituire il lavoratore, e controlli rigorosi. Inoltre, è fondamentale premiare le aziende che rispettano le regole: chi investe nella sicurezza non può trovarsi penalizzato rispetto a chi taglia sui diritti".
La Cgil propone anche un cambiamento normativo. In che senso?
"Con i nostri referendum proponiamo di introdurre la responsabilità solidale lungo tutta la filiera degli appalti. Chi affida un lavoro deve essere responsabile anche di chi materialmente lo esegue. È l’unico modo per garantire qualità, legalità e sicurezza nel mondo del lavoro".
Un messaggio finale per i lavoratori?
"Non possiamo più permettere che la sicurezza venga derubricata a un costo. Il lavoro deve tornare a essere un valore. La qualità del prodotto che un’azienda realizza dipende anche dalla qualità del lavoro che ha alle spalle. Nessuno dovrebbe morire per portare a casa uno stipendio".