LUCIA BIGOZZI
Cronaca

Nove chilometri senza paracadute. La bretella per l’A1 a due corsie. È un caso quasi unico in Italia

Il primo progetto di raddoppio risale a 25 anni fa, poi un paio di piani firmati e dimenticati. Ventunomila mezzi al giorno, i rettilinei "trappola". Con la terza corsia la grande occasione.

Un’altra immagine dello scontro avvenuto ieri mattina sul raccordo autostradale

Un’altra immagine dello scontro avvenuto ieri mattina sul raccordo autostradale

Sono più lunghi i 385 mila chilometri che dividono la terra dalla luna o gli 8 che separano Arezzo dal casello? Chi frequenta quella strada non ha dubbi, se non altro perché nello spazio si possono accendere i razzi, non sul raccordo. Bisogna tenerselo stresso e spesso a passo d’uomo. Salvo ogni tanto, quando all’alba una tragedia viene a scuotere quella striscia d’asfalto. Come ieri. L’immagine è devastante: i tre mezzi incastrati, quasi a creare una diga artificiale in mezzo al traffico. A dividere ancora più del solito i famosi nove chilometri. Le cause degli incidenti, è chiaro, possono essere mille e non sempre appese ai limiti, oggettivi, dell’arteria stradale. Però nei fatti siamo di fronte ad un paradosso che viene da lontano. Perché il raccordo aretino è l’unico a livello nazionale a due corsie, almeno tra i comuni capoluogo. Nove chilometri che in base ad uno studio di alcuni anni fa ogni giorno vedono abbattersi 21 mila mezzi, molti dei quali pesanti.

Era fino a qualche anno fa l’arteria più trafficata, forse è stata scavalcata in questa impopolare classifica dai "rami" aretini della strada regionale 71. Il raddoppio è in agenda da decine di anni ma senza mai risalire le prime pagine. Un punto, tra l’altro, caro al sindaco Alessandro Ghinelli, che per questo aveva richiesto in compensazione il raddoppio degli 800 metri tra Arezzo Fiere e il Truciolini, ai margini di un piano Lebole mai decollato. "Le previsioni di sviluppo per la E 78 a 4 corsie, non possono prescindere dal raddoppio del raccordo, sia per motivi di viabilità che rispetto alla prospettiva di un aumento del traffico quando le due arterie saranno finalmente collegate" scandisce l’assessore Alessandro Casi. "E questo oggi ci deve far riflettere su quanto sostenuto, da tempo, da questa amministrazione".

Quale? Il Comune, non è un mistero, scettico sulle bretelle del progetto, vedeva nel raccordo un collegamento naturale con le previsioni di completamento della Due Mari. Ma di fatto le bretelle vanno avanti e quindi una soluzione andrebbe trovata. Una priorità assoluta la definisce sul piano urbanistico l’assessore Francesca Lucherini. "Avere un raccordo a due corsie è un po’ come costruire prima la casa e poi la via di collegamento alla città. Una città che sta crescendo e richiede un potenziamento dell’unico asse viario verso il casello, come pure la terza corsia, siamo uno snodo cruciale nei collegamenti nord-sud".

Nei fatti ci siamo stati non vicini ma un po’ meno lontani due o tre volte. Il primo studio di fattibilità era stato fatto dalla Provincia nel 2001, 24 anni fa, dall’allora giovane ingegnere capo Giovanni Cardinali. Dieci anni dopo ecco la firma di un protocollo tra Provincia, Comune, Regione, Anas e Società autostrade, ipotesi di finanziamento un aumento del pedaggio in uscita dal casello. Dimenticato. Poi c’era stato il piano Strabag, un’ipotesi di completamento della Due Mari che prevedeva almeno il raddoppio fino a Chiani, 4 chilometri su 9.

L’impressione è che l’occasione da non perdere sarà il futuro progetto di terza corsia fino ad Arezzo: quale opera di compensazione territoriale sarebbe più ovvia? Nessuna. Ma se anche ci trovassimo d’accordo si tratta di convivere con altri dieci anni a due corsie. Dove, tra l’altro, i rischi si concentrano soprattutto in alcuni punti: tra cui proprio quel rettilineo che precede Ponte a Chiani e dà l’illusione del sorpasso facile. Lì dove ieri mattina si è fermato il traffico. E soprattutto si è fermata la vita di chi a 57 anni ha pagato, tra le altre cose, l’errore di aver scelto la strada sbagliata.

Lucia Bigozzi