
di Federico D’Ascoli
Se ne avesse ancora, Giovani Battista Donati si metterebbe le mani nei capelli. Il suo storico frantoio alle porte della città di questi tempi dovrebbe essere una catena di montaggio intasata come un porto di mare. Un ingorgo tra chi porta le olive appena raccolte e chi invece viene a comprare il prodotto finale, "l’oro verde" che inizia a valere davvero come il metallo prezioso. Perché di gente in giro per i frantoi della provincia se ne vede poca, per il clima di quest’anno e per una tradizione, quella di "fare l’olio" in famiglia che si sta perdendo.
Donati è l’ultimo anello di una famiglia che trasforma le olive in extravergine dalla metà del Seicento. In oltre mezzo secolo di esperienza mai si era trovato di fronte a un’annata come questa: peggiore anche di quelle recenti su cui era passata come un caterpillar la famigerata mosca olearia. Giovan Battista è sempre al pezzo tra i macchinari del suo capannone al Bagnoro: versa l’olio, lo imbottiglia e lo consegna al cliente come il garzone di bottega. Lo fa con un ampio sorriso che nasconde però la preoccupazione di chi fa un mestiere per passione. Un mestiere che sta vedendo scomparire, anno dopo anno.
Donati, di olio quest’anno se ne vede poco...
"Sarebbe meglio dire che non ce n’è punto, all’aretina. Credevo che rispetto a un anno normale si arrivasse a produrre almeno il 50%. Mi devo ricredere in negativo: quest’anno arriveremo sì e no al 10%. Rispetto a un anno normale almeno 13 mila quintali in meno".
Quindi niente bruschetta con l’olio nuovo, quest’anno?
"Molti cercano il prodotto dello scorso anno. Ci sono innanzitutto questioni meteorologiche: prima l’imprevedibile ghiacciata di fine aprile che ha bruciato la fioritura, la clamorosa siccità dell’estate ha fatto il resto".
Tutta colpa dei cambiamenti climatici?
"Credo di sì, un tempo si aveva un’annata sfortunata e subito dopo una buona. Adesso ogni anno è peggiore dell’altro".
L’extravergine è uno dei simboli della Toscana a tavola, insieme al vino Chianti e alla bistecca Fiorentina. Si rischia di perderlo?
"Non è solo questione di ghiacciate e siccità. Ormai chi viene a portare qui le sue olive ha un’età media superiore ai settant’anni. Non c’è ricambio generazionale e ci sono pochi margini. L’olio si fa principalmente per passione: in Toscana c’è solo il 3% della produzione italiana eppure se ne imbottiglia molto di più: oltre alla quantità stiamo perdendo la qualità".
C’è un modo per invertire la rotta?
"L’unica alternativa al declino sono le colture intensive con piante come quelle spagnole. Ma la qualità dell’olio non è nemmeno confrontabile con la nostra".