LUCIA BIGOZZI
Cronaca

"San Polo non fu legittima difesa". Il Pm: l’assalto in ruspa era scemato

Avviso di fine indagini: i colpi fatali "precipitosi, avventati e imprudenti". Verso la richiesta di rinvio a giudizio

La ruspa ferma, adagiata con la sua benna, sulla facciata della casa

Arezzo, 3 febbraio 2024 – Ha sparato per difendersi dall’assalto che il vicino di casa gli stava portando in sella ad una ruspa. Ma nel difendersi è andato oltre, sconfinando dal territorio ristretto della legittima difesa nell’eccesso colposo di legittima difesa.

Non è certo una sentenza quella che pesa sulla testa di Sandro Mugnai, protagonista del duello di San Polo di un anno fa con il vicino, l’albanese Gezim Dodoli, la vittima. Non è una sentenza e non è neanche detto che la vicenda vada a processo: ma è la linea della procura, sintetizzata nell’avviso di chiusura indagini. Un avviso a tutela della difesa, che ora ha venti giorni per sollevare eccezioni, presentare nuova documentazione e memorie. Ma che in genere sfocia in una richiesta di rinvio a giudizio che, allo stato attuale si appesantisce rispetto alla linea che sembrava prevalente. Il gip Giulia Soldini, di fronte all’arresto di Mugnai per omicidio volontario, aveva disposto la scarcerazione del fabbro, puntando sulla legittima difesa. Una decisione davanti alla quale la procura non aveva presentato appello, circostanza che ora potrebbe avere un peso di fronte ai nuovi sviluppi.

Tuttavia scrive una pagina tutta diversa nella storia. Anche perché l’avviso di fine indagini entra nel dettaglio, risale la collina di San Polo, ricostruisce i minuti più tragici. Conferma, certo, che Dodoli aveva innescato sostanzialmente a freddo quella che il sostituto procuratore Laura Taddei definisce un’azione offensiva verso i vicini. Prima verso le auto parcheggiate davanti, poi innescando la retromarcia, puntando la casa di Gennai e cominciando a colpirne la facciata con la benna. Ma a quel punto Gennai alimenta il fuoco, dice la procura, rispetto all’iniziale colpo sparato dall’esterno dell’abitazione.

Sei colpi quasi in sequenza, tra i quali i tre che hanno colpito Dodoli in parti vitali, in testa quello che gli avrebbe attraversato il cuore, uccidendolo. Ma sparando "nonostante l’azione di Dodoli fosse scemata". La Procura parla di azione "precipitosa, avventata e imprudente alla percezione del segnale di innesto della retromarcia dell’escavatore e di una sua movimentazione, dopo solo circa un minuto e 40 secondi dalla precedente azione. Esplodeva in rapida sequenza (tre secondi) tre colpi, e dopo circa tre minuti, quando ormai l’escavatore non aveva più alcuna movimentazione, un ultimo colpo". Una scansione meticolosa, frutto delle perizie balistiche e degli esami della scientifica, e che per ora riapre la posizione di Mugnai. La ricostruzione misura la traiettoria (dall’alto verso il basso e da destra verso sinistra) e le conseguenze di quei colpi. E se i primi si erano fermati sulla ruspa, gli ultimi avevano centrato Dodoli in più punti: il braccio sinistro, l’emitorace sinistro attraversando il cavo pleurico, il lato sinistro dell’addome attraversando il fegato e infine il cuore, non lasciandogli scampo.

Mugnai sparava dalla finestra del soggiorno, deciso, come ha dichiarato dal primo momento, a salvare la sua famiglia, che vedeva in grave pericolo davanti all’assalto. Ed è sicuramente la linea che i suoi avvocati Piero Melani Graverini e Maria Lelli porteranno avanti con determinazione, sia di fronte al gip che in un eventuale giudizio. Linea nella quale convergeva buona parte del paese, al fianco di Gennai perfino con una raccolta di fondi.

Un paese nel terrore ai primi di gennaio di un anno fa per quella scena mai vista di violenza e di morte. E che ora ripiomba negli interrogativi di quelle ore.