Arezzo, 10 febbraio 2022 - Oro estratto illegalmente in un territorio nativo riconosciuto dallo Stato brasiliano sarebbe stato acquistato da un'azienda italiana specializzata nell'attività di recupero e affinazione dei metalli preziosi, la Chimet, acronimo di Chimica metallurgica Toscana: è quanto emergerebbe da un'indagine della polizia brasiliana denominata "Operação Terra Desolata" di cui ha riferito oggi l'ong brasiliana Reporter Brasil. L'azienda è stata contattata dall'agenzia Dire e ha negato qualsiasi coinvolgimento nella vicenda, oltre ad affermare di non essere a conoscenza di un'indagine della polizia brasiliana che la riguarderebbe. Concetti, questi, rilanciati anche nelle risposte che Chimet ha inviato a Reporter Brasil dopo essere stata sollecitata sull'inchiesta. Stando a quanto riferisce l'organizzazione brasiliana, nata nel 2001 a San Paolo, la Chimet avrebbe acquistato oro da una società commerciale di esportazione brasiliana che vedrebbe fra i suoi soci due imprenditori italiani residenti nel Paese sudamericano, Mauro Dogi, pure ex dipendente dell'azienda toscana nel suo stabilimento di Arezzo tra il 1990 e il 1995, e il figlio Giacomo. Tra il 2015 e il 2020 questa azienda avrebbe ricevuto da Chimet 317 milioni di euro, l'equivalente di circa 2,1 miliardi dei reais locali, per l'acquisto di una tonnellata di metallo.
Sollecitata dalla ong rispetto a delle transazioni da 1,8 milioni di reais, poco più di 300mila euro, a beneficio Sidney Soares e Hailton Monteiro de Almeida, entrambi indagati per attività mineraria illegale nel sud del Parà, Chm ha risposto che "tutte le transazioni relative all'acquisto di oro effettuate con privati sono del tutto lecite e legittime" e che le due persone in questione "sono o sono stati soci delle cooperative dalle quali la società ha acquisito il metallo" che "su richiesta e previa autorizzazione delle stesse cooperative, sono stati effettuati depositi direttamente sui conti correnti bancari dei soci". Chimet, che ha sede ad Arezzo ed è controllata dalla famiglia Squarcialupi come la società sorella Unoaerre, da cui è nata negli anni '70, ha affermato dal canto suo che "le forniture" oggetto dell'indagine "sono sempre accompagnate dalla documentazione attestante una provenienza lecita del metallo, com dimostrato anche dalle fatture e dalle autorizzazioni ad esportare del fornitore, nonché dai documenti doganali, sia brasiliani che italiani". L'azienda sottolinea di aver "sempre effettuato un controllo preciso circa l'esistenza delle autorizzazioni del fornitore e della provenienza del metallo". I Kayapò, che si autodefiniscono "Mebêngôkre", letteralmente "il popolo dell'acqua", sono presenti in poco più di 8mila unità negli Stati di Parà e Mato Grosso.
L'azienda è stata contattata dall'agenzia Dire e ha negato qualsiasi coinvolgimento nella vicenda, oltre ad affermare di non essere a conoscenza di un'indagine della polizia brasiliana che la riguarderebbe. Concetti, questi, rilanciati anche nelle risposte che Chimet ha inviato a Reporter Brasil dopo essere stata sollecitata sull'inchiesta.