
Domenico Giani in udienza dal Papa con gli ambasciatori dell’Ordine di Malta
Arezzo, 22 aprile 2025 – “Io su quella macchina non ci salgo”. Tono pacato ma fermo: un giorno come tanti in Vaticano. Il giorno in cui Papa Francesco chiama Domenico Giani, al timone della Gendarmeria e gli chiede di accompagnarlo all’autoparco. “Eravamo nell’imminenza del suo primo viaggio internazionale in Brasile e per rispettare il suo desiderio, abbiamo cambiato in corsa la papamobile, attrezzando la jeep poi diventata la vettura scoperta con cui incontrava la gente”. Domenico Giani ha una valigia zeppa di ricordi che custodisce tra le cose più care della sua carriera professionale e della sua vita privata. È stato al fianco del Papa per circa sette anni, nei tanti viaggi nel mondo e in Italia. In queste ore Giani sta ricevendo “decine di messaggi da tutto il mondo da parte di persone che lo hanno incontrato e che desiderano manifestare il loro dolore”.
Giani, Francesco non amava troppo le regole della sicurezza. Che impegno è stato garantire la sua incolumità?
“Ha amato fino all’ultimo stare in mezzo alla gente, avere il contatto diretto sopratutto con i più fragili. È stato un Papa per la gente e lo ha dimostrato dal suo primo viaggio a Lampedusa dopo la strage dei migranti fino alla benedizione dal balcone di San Pietro il giorno di Pasqua. Organizzare i suoi viaggi non è stato semplice; all’inizio è stato difficile far capire i suoi desiderata, proprio perchè amava il rapporto diretto con le persone, poi gradualmente siamo riusciti a organizzarci e lui ha potuto esercitare il suo ministero secondo le sue intenzioni”.
Perchè non voleva salire sulla papamobile?
“Dopo l’attentato a Giovanni Paolo II era stato deciso che il pontefice doveva muoversi su un’auto blindata. Ma lui voleva salutare le persone. Quel giorno, mentre preparavamo il viaggio in Brasile, mi chiamò dicendo di voler andare al parco macchine del Vaticano. Quando vide l’auto blindata disse ‘Io là sopra non ci salgo’. Organizzamo velocemente un piano alternativo, attrezzando la jeep che poi diventò l’auto per i trasferimenti in piazza San Pietro e durante le sue visite all’estero”.
Cosa le ha trasmesso negli anni al suo fianco?
“Mi ha donato una vicinanza particolare in alcuni momenti della mia vita e per la mia famiglia. Ricordo che quando nel 2019 ho lasciato il mio servizio per amore della Chiesa in un momento particolare della sua storia, il Papa che già in passato aveva dimostrato grande affetto nei miei confronti e verso la mia famiglia, fece un gesto unico: venne a farci visita a casa. Un gesto di grandissima portata al quale poco dopo seguì l’attribuzione della massima onirificenza concessa ad un laico in Vaticano: mi nominò Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine Piano”.
Qual è il ricordo più caro del pontefice che custodisce?
“La sua vicinanza a me e alla mia famiglia. E il suo non stancarsi mai di ripetere l’appello alla pace, l’attenzione ai più poveri e ai bisognosi. Oggi (ieri, ndr) ho pianto, mi sono commosso rileggendo l’Angelus con la sua meditazione”.
Come ha appreso la notizia della sua morte?
“Da fonti vaticane”.
Andrà ai funerali?
“Sì certo”.
Ha ricevuto tanti aretini in diverse occasioni ma è mancata una sua visita nella nostra terra. Perchè?
“Più volte è stato invitato dai vescovi, i frati della Verna e anche da me, ma l’accavallarsi degli impegni non lo ha reso possibile anche se lui desiderava visitare la nostra terra”.
L’ultima volta che lo ha visto?
“È stato qualche mese fa, in occasione dell’udienza per gli ambasciatori dell’Ordine di Malta. Ero insieme a mia figlia Laura e lui è stato molto affettuoso con me”.
Lei guida le Misericordie d’Italia, qual è la forza di Francesco?
“Ha sempre ribadito il concesso della Misericordia di Dio e ripetuto che il Signore non ci abbandona mai infonendo in tutti noi la speranza. Le Misericordie che basano il loro servizio sullo stesso concetto, lo hanno sempre sentito molto vicino”.
Lucia Bigozzi