di Salvatore Mannino
Laggiù qualcuno lo ama, dove laggiù sta per i quartieri popolari di Napoli in cui Patrizio Oliva, uno dei grandi pugili della recente storia dello sport italiano, anche lui stasera protagonista al Fair Play, è cresciuto fino a diventare campione olimpico, europeo e mondiale. Non una faccia piena di pugni, la sua, appartenente ad un’epoca in cui un match di boxe non era più e necessariamente un massacro, come si vede nei grandi film a sfondo pugilistico, da "Lassù qualcuno mi ama" su Rocky Graziano-Paul Newman a "Toro Scatenato" su Jake La Motta-Robert De Niro, ma un’attenta amministrazione delle forze, completata da una tecnica sopraffina.
Oliva non è un picchiatore fin da quando nei primi anni ’70 comincia a frequentare una palestra dei Quartieri Spagnoli per la voglia di rivincita che gli viene dall’essere nato (nel 1959) e cresciuto in una famiglia modesta di Poggioreale. Non potrebbe esserlo per stazza, del resto, è un piuma, un leggero, uno di quelli che all’esplosività del colpo sostituisce la velocità e il tempismo.
Gli italiani imparano a conoscerlo nelle Olimpiadi di Mosca del 1980, di cui diventa una delle stelle azzurre insieme a Pietro Mennee Sara Simeoni. Patrizio la sua medaglia se la conquista battendo in finale quel Serik Konakbayev, sovietico e padrone di casa, che appena un anno prima gli aveva sottratto il titolo europeo dei dilettanti, con un verdetto perlomeno discusso.
L’oro è il biglietto col quale Oliva si presenta in quello stesso anno fra i professionisti, ultimo erede di una grande tradizione nella quale vanno ricordati almeno Duilio Loi, Nino Benvenuti e Sandro Mazzinghi, gente abituata a combattere e vincere per il titolo mondiale. Lui parte subito aggiudicandosi il titolo italiano, trampolino di lancio verso la chance europea del 1983, a Ischia contro il francese Robert Gambini che batte nettamente. Per sei volte difenderà la cintura continentale dei superleggeri, fino a guadagnarsi la possibilità di giocarsi il titolo mondiale Wba, contro l’argentino di origine calabrese Ubaldo Sacco. A Montecarlo è un’altra notte magica per lui: match a senso unico.
Le sue difese iridate durano poco più di un anno, fino a quando accetta la sfida di un altro picchiatore argentino, il terribile Juan Martin Coggi che lo manda al tappeto ripetutamente. E’ il primo ko fra i professionisti. Patrizio resterà fermo per due anni, solo nel 1989, passato ai Welter, ritenterà la scalata che lo porta un anno dopo a un altro inconto per l’Europeo, stavolta vittorioso contro l’inglese Kirkland Laing. E da quello nasce la seconda chance mondiale, stavolta per il titolo Wbc di cui è detentore l’afro. Afroamericano James Mc Girt. A 33 anni, però, le energie non sono più quelle di un tempo: perde nettamente ai punti. E’ il suo canto del cigno, lascia con un record di 57 vittorie su 59 match. Mica male.
Dopo di lui il diluvio.